Il 29 e 30 settembre, a Dunkerque e Calais, attivisti, educatori, giovani e cittadini provenienti da tutta Europa si sono riuniti per Ways of Europe. Queste due giornate non sono state semplicemente una conferenza, ma un momento di riflessione collettiva su una delle grandi questioni del nostro tempo: come rispondiamo, in quanto europei, alle crisi attuali? Come resistiamo alla normalizzazione dei confini, dei campi, dell’esclusione? Come recuperiamo la solidarietà come pratica politica?
A Dunkerque i partecipanti non sono solo stati accolti con un’introduzione all’evento, ma hanno anche avuto l’opportunità di creare attivamente grazie al Laboratorio Radiofonico. Attraverso la produzione di podcast, infatti, hanno potuto esplorare e approfondire storie di transizione giusta, sostenibilità e migrazione. Ogni registrazione è diventata il frammento di una narrazione più ampia: quella di un’altra Europa possibile, costruita sulla dignità, sulla cura e sul rifiuto dell’invisibilità.
Ma l’incontro non si è limitato al dibattito. Nel secondo giorno il gruppo si è spostato a Calais, una città divenuta simbolo delle politiche europee sulla sicurezza: un luogo in cui le reti di solidarietà e i gruppi umanitari resistono quotidianamente alla violenza dei confini; e al tempo stesso, un laboratorio per i più brutali esperimenti di frontiera dell’UE. Visitando l’Auberge des Migrants, i partecipanti non si sono limitati a osservare, ma hanno contribuito attivamente: cucinando, smistando vestiti, preparando pacchi alimentari. Altri hanno preso parte alla redazione di un manifesto, una dichiarazione politica che nasce dalla realtà vissuta della frontiera.
Non si tratta di terreno neutrale. Ritrovarsi a Calais significa stare nel mezzo di una frattura europea. Qui le questioni migratorie sono questioni immediate di sopravvivenza, di dignità umana, di diritto a muoversi e a vivere. Scrivere un manifesto a Calais significa confrontarsi con le modalità con cui l’Unione Europea, investendo in recinzioni, sorveglianza e polizia militarizzata, ha scelto il controllo al posto della compassione. Significa riconoscere che, mentre le bombe continuano a cadere su Gaza e un genocidio si consuma sotto gli occhi del mondo, l’Europa continua a rafforzare una politica di silenzio e complicità. Le logiche che permettono la disumanizzazione e l’assedio di intere popolazioni sono le stesse che permettono che i rifugiati alle nostre frontiere vengano lasciati al freddo, senza riparo, braccati dalle pattuglie di polizia.
Questa conferenza chiede ai partecipanti (e a tutti noi) di riconoscere le profonde implicazioni politiche della solidarietà. Stare dalla parte dei migranti a Calais significa anche stare con i palestinesi a Gaza, con gli sfollati in Sudan, con coloro che sono esclusi dalla promessa dell’Europa. Qui solidarietà significa resistenza: affermare che le politiche securitarie non sono inevitabili, che l’Europa può essere altro rispetto a muri e filo spinato.
Ways of Europe in Francia non è stato quindi un evento isolato, ma una parte di un movimento più ampio. Riunendo persone a Dunkerque e Calais, è proseguito un percorso già tracciato in altre terre di confine: lo scorso giugno a Lampedusa, i prossimi mesi a Barcellona e a Budapest. Ogni tappa aggiunge uno strato a un progetto collettivo che crede che l’Europa debba essere rifondata dal basso, mettendo al centro chi è più colpito.
In un tempo in cui i muri si alzano e l’autoritarismo avanza, questo incontro ci chiama a un orizzonte diverso: un’Europa dell’accoglienza, della giustizia, della solidarietà abbastanza forte da opporsi alla violenza, dentro e oltre i nostri confini. Perché tacere, a Calais come a Gaza, significa accettare l’inaccettabile. E resistere insieme significa iniziare a cambiare la storia stessa dell’Europa.