Quello che sta succedendo a Gaza non riguarda solo Israele e il popolo palestinese, anche le nostre parole hanno un ruolo fondamentale; il fatto che non ce ne accorgiamo è grave. Quando pensiamo alla guerra nella nostra testa forse immaginiamo carri armati, i droni, le bombe e un'infinità di vittime; il che è coerente con quello che sta succedendo sul suolo di Gaza, dove il genocidio in atto continua senza nessun cenno di cedimento, almeno finché bambini, uomini e donne che con Hamas condividono solo l'aria (forse neanche quella) continueranno a resistere sulle macerie delle proprie case. Guerra, nel 2025, però non vuol dire solo questo. Non possiamo rimanere ancorati alle immagini degli anni '40 del secolo scorso, negando che questo sia di fatto un genocidio, non possiamo non renderci conto che con l'evoluzione e il progresso che hanno investito ogni campo della nostra vita anche la concezione di guerra è cambiata; oggi la combattiamo tutti i giorni anche quando scegliamo che parole usare per descrivere questo massacro, quando gli esponenti politici parlano ai microfoni e in televisione scegliendo di usare un termine al posto di un altro, e di questo dobbiamo essere consapevoli.
Nelle ultime ore non si parla d'altro che della Global Sumud Flotilla, la coraggiosa flotta di barche piene di uomini e donne come noi che con un atto di resistenza civile hanno salpato cariche di aiuti umanitari, per rompere il blocco navale imposto da Israele e mandare un messaggio forte ai governi: i cittadini, almeno stavolta, sono dalla parte giusta della storia e non hanno nessuna intenzione di rimanere indifferenti. Attualmente, dopo quasi 30 giorni di navigazione, le barche si trovano a circa 140 miglia nautiche dalla costa di Gaza, il che vuol dire che a una velocità costante di 5 nodi saranno a Gaza nel giro di 27 ore. I social sono in fiamme: una grande quantità di persone condividono post e video della Flotilla così da far risuonare la loro voce il più forte possibile, sostanzialmente perché questo è l'unico aiuto e protezione che possiamo fornirgli; dall'altra parte i nostri rappresentanti politici hanno risposto in maniera ben diversa. Giorgia Meloni su X scrive "Risparmiateci la lezione morale sulla pace se il vostro obiettivo è l'escalation, e non strumentalizzate la popolazione di Gaza se non vi interessa davvero il loro destino", il Ministro della Difesa Crosetto invece dichiara "Noi non siamo in grado fuori dalle acque internazionali di garantire la sicurezza delle imbarcazioni...non possiamo garantire la sicurezza in acque israeliane".
La guerra delle parole
Quando dico che la guerra la stiamo facendo anche noi con le parole intendo proprio questo. Dichiarare acque israeliane quelle davanti Gaza è una presa di posizione importante e uno schiaffo, altrettanto importante, al diritto internazionale. Per capire perché quello che sta facendo la Global Sumud Flotilla è più che legittimo dobbiamo partire proprio da alcune nozioni di diritto. Attualmente a Gaza è in atto un blocco navale imposto da Israele, la previsione del blocco navale è regolamentata nel nostro diritto internazionale, ma non coincide affatto a ciò che sta avvenendo sotto i nostri occhi. Con blocco navale intendiamo un'azione militare volta a bloccare l'entrata e l'uscita di navi dai porti o da un territorio, ma affinché questo sia legittimo devono essere rispettati precisi criteri: il blocco dev'essere ufficialmente dichiarato, indicando data d'inizio, durata, limiti geografici, e il tempo concesso alle navi neutrali per uscire se già nella zona interessata. Il blocco deve essere poi anche effettivo, vale a dire che deve esistere una forza navale/combinata che possa impedire l'ingresso e l'uscita delle navi. Ovviamente il blocco deve essere neutrale nei confronti di Stati che non partecipano al conflitto, non può quindi impedire l'accesso a porti o coste neutre e deve essere anche imparziale. L'ultimo è forse il criterio su cui dovremmo soffermarci di più: il blocco navale deve essere compatibile con il diritto internazionale umanitario: non può essere imposto per affamare la popolazione civile come arma di guerra, deve consentire la tutela dei beni indispensabili alla sopravvivenza e non può impedire il passaggio di aiuti umanitari a meno che non costituiscano un rischio militare.
Il blocco navale di Israele ha origini lontane, risale al 2009 e si è intensificato dopo il 7 ottobre 2023. Altre navi hanno provato a raggiungere via mare Gaza per portare aiuti umanitari, come la Handala e la Madleen, entrambe bloccate. A tal proposito sono stati già emessi due mandati di cattura internazionale per il Premier Netanyahu e l'ex ministro Gallant, ma nella realtà la loro efficacia è stata evidentemente nulla. Oggi le navi della Flotilla si apprestano ad avvicinarsi al crossing point, ovvero quella zona a circa 90-75 miglia dalla costa che pur non essendo affatto di competenza israeliana è nota per l'intervento delle forze di sicurezza israeliane. Non si tratta neppure del punto in cui da acque internazionali si entra nelle acque di competenza dello Stato (dalle 24 alle 12 miglia dalla costa), ma in ogni caso per essere considerate tali le acque di competenza dovrebbero comunque essere dichiarate dallo Stato prima che questo possa avanzare il proprio diritto di sovranità, cosa che Israele non ha mai fatto. Superate le 12 miglia dalla costa si entra poi nella zona di totale sovranità dello Stato, ma c'è un punto fondamentale: dichiarare che quelle acque appartengono ad Israele vuol dire anche affermare che la sovranità sulla Striscia di Gaza appartiene a lui, ma questo non è corretto. Tra 1991 e 1993 ricordiamo una serie di negoziati condotti tra il governo israeliano e l'Organizzaziome per la liberazione della Palestina, che avevano portato agli accordi di Oslo, conclusi nello stesso anno. Con questi accordi è stata istituita l'Autorità Nazionale Palestinese, che aveva il compito di autogovernare illimitatamente parte della Cisgiordania e la striscia di Gaza. Di conseguenza, secondo quanto affermato dalla Convenzione di Montego Bay (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) il mare antistante a Gaza risponde alla sovranità della Palestina.
Quindi su quali basi giuridiche Israele potrebbe bloccare le navi della Global Sumud Flotilla? Nessuna. Tanto più che si tratta di una missione umanitaria che non costituisce nessun pericolo militare visto che a bordo non ci sono armi, ma cibo e civili. Lo strapotere di Israele non è giustificabile secondo nessuna norma del diritto, e attribuirgli legittimità attraverso parole come "acque israeliane" non fa altro che costruire una narrazione distorta e pericolosa.
Potremmo poi soffermarci sulle parole del Presidente del Consiglio Meloni, chiederci cosa voglia dire davvero "strumentalizzare la popolazione di Gaza" quando non ci interessa davvero il loro destino. Potremmo chiederci, ad esempio, se raccontare al telegiornale di ospitare bambini palestinesi e salvarli dalla morte certa mentre ospitiamo e offriamo protezione in segreto anche ai soldati israeliani sul nostro suolo non voglia dire proprio strumentalizzare la popolazione di Gaza, ma oggi parleremo solo di diritto.