Perché la politica italiana ha stancato
Cerchiamo di analizzare il fenomeno della disaffezione alla politica da parte degli italiani
Niccolò Paganelli | 16 luglio 2025

Con il crollo dei partiti della Prima Repubblica a causa di Mani pulite e la discesa in campo di un “homo novus”, ovvero Silvio Berlusconi, l’Italia imboccò una nuova strada: il bipolarismo. L’idea era quella di dare all’Italia un sistema politico forte, moderno e basato sul modello anglosassone. Dopo la Guerra Fredda partiti come la Dc, roccaforte dell’atlantismo, e il PCI, che rappresentava le istanze comuniste, sembravano superati e obsoleti, non in grado di rappresentare adeguatamente il paese. Per questo nel 1993 fu approvata una legge elettorale maggioritaria, simile a quella inglese, che aprì le porte a due coalizioni: Destra e Sinistra. 

Ma trent’anni dopo quel proposito si è frantumato. Il bipolarismo italiano non è mai iniziato, apparentemente è stato tenuto in piedi dalla figura di Berlusconi, capace di dividere il paese a metà: chi stava con lui e chi contro di lui. Quando la carriera politica del Cavaliere declinò dopo il Berlusconi IV, il sistema cosiddetto bipolare crollò e si trasformò addirittura in un sistema tripolare con l’arrivo del Movimento 5 Stelle. Ad oggi abbiamo il centro-destra unito ma ideologicamente diversissimo, basta guardare le votazioni al Parlamento europeo, e un centro-sinistra che l’unica ragione per cui sta insieme è quella di non fare governare un’altra volta la destra, senza una propria e identitaria visione di Paese. Nel mezzo di tutto questo milioni di italiani hanno disertato le urne per disaffezionamento nei confronti di questi partiti. Sarebbe importante chiederci cosa ha determinato il fallimento del bipolarismo italiano? È stato un errore di metodo, di contesto o di cultura politica? E cosa fare ora?

Motivo Storico

Partendo sin dalla nascita della Prima Repubblica, che avvenne con il voto al referendum del 1946 tra repubblica e monarchia, la legge elettorale è sempre stata di tipo proporzionale, capace di rappresentare al meglio tutte le frange dell’elettorato e le loro istanze. Questo sistema era il più adatto alla grande eterogeneità delle tante culture politiche che erano presenti nel 900’ in Italia: comunista, socialista, liberal-democratica, repubblicana, fascista/nazionalista, cattolica e popolare. Il problema principale, dunque, si palesò quando si ebbe l’idea di diventare un paese anglosassone senza essere un paese anglosassone, come se una legge potesse sostituire una storia, una cultura politica e una prassi. Nonostante questo, nel 1993, con la legge Mattarellum, proposta dall’attuale Presidente della Repubblica, si passò da un proporzionale puro ad un maggioritario al 75%. Per capirci il 75% dei parlamentari vengono eletti con il metodo maggioritario. Con l’unica differenza che il Regno Unito ha un sistema bipolare da più di duecento anni e una storia politica radicata intorno al dualismo tra Tories e Whigs e poi tra Labour e Conservative. Questo portò grande confusione tra i partiti dell’epoca, i quali piuttosto che rischiare di rimanere fuori dal Parlamento fecero delle alleanze improbabili e instabili che furono la causa principale di coalizioni di governo poco durature e molto diverse politicamente. Un esempio può essere la caduta del Prodi I quando Rifondazione Comunista uscì dalla maggioranza con L’Ulivo, lo schieramento di centro-sinistra, poiché era in disaccordo con le politiche economiche liberiste (privatizzazioni di ENI e Telecom), i rigorosi controlli di bilancio per il Patto di Stabilità della neonata Unione Europea e le scarse politiche per il lavoro, cavallo di battaglia di Rifondazione. Nel polo opposto è celebre il “Che fai mi cacci?” pronunciato da Gianfranco Fini, segretario di Alleanza Nazionale, nei confronti di Berlusconi in un congresso del partito Polo delle Libertà, formato dalla fusione di Forza Italia e AN. Il disaccordo tra i due leader, più per motivi di gestione del partito che ideologici, come abbiamo visto prima, causarono la caduta del Berlusconi IV e la formazione di un governo tecnico con Monti primo ministro. Riassumendo, l’Italia non è mai stata pronta culturalmente alla transizione verso un sistema bipartitico e si è visto nel tempo l’instabilità che questa scelta causò.

La conseguenza profonda del fallimento del bipolarismo

Tutto questo appena descritto qui sopra creò forte delusione nell’elettorato e sfiducia nei confronti del sistema. Quando c’è malcontento nella società è risaputo che i populismi e i demagoghi hanno sempre successo e in questo la storia è maestra di vita. Nel 2013 un comico inizia a scrivere sul suo blog del fallimento della politica nel rappresentare la popolazione. Quel comico è Beppe Grillo, fondatore del M5s. Il M5s non nasce come un terzo polo convenzionale, cioè di centro, ma come la negazione della politica: né di destra, né di sinistra e né di centro. Il Movimento fece leva sulla disillusione dell’elettorato senza, però, proporre un proprio progetto di riforme ma solo criticando lo stato attuale della politica e i vecchi partiti. In questo rappresenta l’arte del populismo alla massima essenza.

Il fenomeno 5 stelle, però, ci fa capire che ciò appena scritto nel paragrafo di sopra è vero. Dimostra che non c’è nessuna fedeltà ideologica, appartenenza storica o ai programmi di uno dei due poli. Esiste solo una massa di elettori che si sposta da un lato all’altro a seconda del momento, della rabbia e della disillusione. Questo disegno mostra un elettorato fluido, volatile, sempre più attratto da persone esterne al “sistema”.  Il paradosso è che lo stesso M5s che aveva come obiettivo di “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, si è trovato a fare alleanze con gli stessi poli che criticava e sdegnava, prima nel governo Conte I con la Lega, poi nel Conte II con il Pd, poi con Draghi e ora, a quanto pare, si ritrova nel “campo largo” insieme al Pd. Dunque, la nascita di questo terzo polo antisistema, che poi è finito per integrarsi nel sistema, è la causa della fine del bipolarismo e della crisi del sistema parlamentare italiano. Ad oggi abbiamo una maggioranza di centro-destra che sembra essere salda e unita, ma quanto ancora possono ignorare il fatto che due partiti che lo compongono sono a favore del piano di riarmo ed uno fermamente contro? Quando sarà il momento delle decisioni cruciali riguardo questa materia, cosa succederà? L’ennesima crisi di governo? Staremo a vedere.

Si può uscirne?

Per rispondere alla domanda dell’introduzione, un cambiamento della legge elettorale non sarà ciò che farà la differenza. Né tantomeno l’ennesimo leader nuovo che prometterà di liberare gli italiani dalla corruzione e dalla attuale classe politica. La verità è che il sistema non regge se le fondamenta non sono salde. Il bipolarismo italiano è fallito perché non ha preso in considerazione le diversissime fondamenta che il paese aveva e ci ha costruito sopra una casa che, all’apparenza almeno, sembrava essere bellissima e funzionale. Si è preferito usare una strada più veloce, semplificare tutto a sinistra e destra, buoni e cattivi, berlusconiani e antiberlusconiani, tralasciando la costruzione di una identità politica reale. Uscirne significa pensare la politica come una costruzione lunga e faticosa di una idea di Paese. Significa avere partiti veri, fondati su valori e non sul personalismo del proprio leader. Significa alzare il livello del dibattito politico, ritornare a parlare di società, di scuola, di lavoro e non di alleanze o sondaggi. Significa creare nuovamente una cultura politica. 

La strada l’aveva delineata già allora Luigi Einaudi, uno dei padri fondatori e primo Presidente della Repubblica eletto. Egli parlava della cosiddetta “via lunga” per costruire una democrazia solida, basata sulla formazione civica del cittadino attraverso l’istruzione e istituzioni forti non basate su compromessi casuali. Finché cercheremo la “via breve” saremo sempre costretti ad assistere ad un’Italia che promette modernità ma inciampa sempre nella propria e autoinflitta fragilità.