Benedetta Geddo: cosa significa parlare oggi di femminismo e rape culture
"Vivere in una rape culture vuol dire molte cose, ma un aspetto per me significativo (e terribile) è il non stupirsi quando succede qualcosa di brutto"
Miriam La Mantia | 20 maggio 2021

Il raggiungimento di una parità tra i sessi prevede una profonda trasformazione politica, economica e culturale della nostra società, ma siamo ancora agli esordi. Il linguaggio, gli insulti sessisti, gli stereotipi di genere, sono comportamenti bonariamente accettati e che rappresentano la base necessaria ed ineliminabile per ogni forma di violenza e discriminazione.

Benedetta Geddo da anni crea contenuti per Lonely Planet, Teen Vogue, Bossy Italy e altro ancora; giornalista, scrittrice e content creator ci parla di femminismo, rape culture e giornalismo.

Benedetta ha richiesto che nell'intervista venisse utilizzato un linguaggio inclusivo che fa uso della schwa (з), simbolo dalla pronuncia neutra, aperto anche a chi non si riconosce nei generi del maschile e del femminile.

 

Si parla molto di femminismo, se dovessi dare una tua definizione, quale sarebbe?

La mia definizione di femminismo è cambiata qualche volta da quando mi sono avvicinata al movimento: mi rendo conto che da "baby femminista" avevo una visione molto ristretta della lotta, che si è aperta nel corso degli anni. Ad oggi credo di aver raggiunto la definizione che a me sembra più giusta, ossia che il femminismo è worldbuilding: è lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo più giusto, per tuttз, come hanno fatto le persone femministe prima di noi, costruendo e migliorando proprio a partire dal loro lavoro.

 

Quando hai iniziato ad occuparti di femminismo?

Sono dovuta andare a controllare le date di qualche articolo per rispondere, perché adesso mi sembra di essere femminista da sempre: però penso di poter considerare il 2014 il mio anno d’ingresso nel movimento, quando ho scoperto dell’esistenza di Bossy Italy e ho cominciato a pensare a cosa proporre come candidatura per entrare in redazione. Il mio primo articolo femminista è stato una recensione di Agent Carter del 2015. 

 

Hai notato qualche cambiamento significativo nel contesto italiano negli ultimi anni?

Di certo si sta cominciando a parlare di femminismo, delle sue istanze, dei suoi linguaggi: il movimento sta uscendo dalla "nicchia" dell’attivismo e dalla "bolla" dei social e ha sempre di più l’attenzione della scena mainstream. Il problema è che non sempre è attenzione positiva, e che la volontà di cambiare (quando c’è) è per come la vedo io solo in superficie.

 

Femminismo e giornalismo, come ci vengono narrati i fatti dai giornali oggi? Hanno un’influenza sul modo in cui analizziamo i fatti?

C’è ancora molto lavoro da fare per il giornalismo italiano quando si tratta di riportare notizie che hanno a che fare con argomenti legati al femminismo. L’esempio più facile (purtroppo) è sempre quello delle parole scelte per parlare di femminicidi: parole che sicuramente influenzano il modo in cui poi interpretiamo questi fatti. Se l’articolo di turno insiste molto sul fatto che la vittima stava pensando di lasciare, o aveva appena lasciato, il suo assassino, il messaggio che passa è che forse alla fine se l’è un po’ cercata: e inevitabilmente contribuirà a tenere vivo questo modo di pensare, a chiedersi "cos’ha fatto la vittima per istigare questa violenza" al prossimo caso di femminicidio.

 

Quanto pensi sia importante il linguaggio? l’Italiano è davvero una lingua sessista?

L’italiano per sua natura non è una lingua neutra, e di certo influenza il nostro modo di pensare e considerare quello che ci circonda (di nuovo, per la sua stessa natura: la lingua madre di una persona inevitabilmente ne plasmerà il modo di pensare). Non credo sia una cosa "cattiva," ma di certo è una cosa che può essere migliorata adottando il più possibile un linguaggio neutro: le lingue, dopotutto, sono fatte per evolvere e devono evolvere, perché il linguaggio è fondamentale.

 

Cosa significa vivere in una “rape culture”?

Vuol dire molte cose, ma un aspetto per me significativo (e terribile) è il non stupirsi quando succede qualcosa di brutto: che sia un qualcosa dalla base della piramide della rape culture (il fischio per strada) o alla cima (un femminicidio, di nuovo), siamo sconvoltз e raggelatз e tristз, spesso anche furibondз, ma mai davvero sorpresз. Perché alla fine ce lo aspettiamo, proprio perché viviamo immersз nella cultura dello stupro, e la cultura dello stupro comporta questo. Ed è una sensazione tremenda.  

   

Come possono imparare з più giovanз ad essere femministз oggi?

Oggi ci sono infinite risorse a disposizione, e soprattutto una pluralità di voci e di esperienze che basta avere la buona volontà di cercare: il modo migliore per un primo approccio rimangono i social media, che sono davvero preziosi se usati "bene," verificando quindi le fonti e ascoltando sì quello che viene detto ma senza prenderlo come dogma di fede, esercitando comunque un pensiero critico. Alla fine è quella la cosa più importante, io credo: pensare con la propria testa e andare oltre l’aspetto superficiale delle situazioni, delle dichiarazioni, dei titoli dei giornali.