Il senso profondo della scuola
A tu per tu con Patrizio Bianchi per entrare nello specchio della nostra scuola
Gianni Bellu | 5 ottobre 2020

Qual è il prezzo che sta pagando l’Italia per i passati tagli all’istruzione?

Un passaggio fondamentale è costituito dalla crisi del 2009-2012: allora abbiamo tagliato i fondi scolastici e dopo otto anni ne paghiamo le spese. Oggi la dispersione scolastica è molto evidente ed è un vero e proprio spreco delle risorse del Paese. I poveri sono ancora più poveri e le disuguaglianze sono più nette. Gran parte dei nostri ragazzi arrivano alla fine del percorso scolastico senza avere competenze. Bisogna educare alla solidarietà. L’autonomia deve essere ripensata, servono patti educativi di comunità con insegnati, dirigenti, alunni e famiglie.

Quando si parla di scuola si rischia sempre di invischiarsi nelle liti tra partiti. È utopico pensare di raggiungere una condivisione di idee che non metta continuamente in discussione l’assetto della scuola?

Non so se lo raggiungeremo ma è sicuramente necessario. La scuola è e deve essere oggetto di investimento da parte del Paese e per questo occorre un assetto stabile che renda chiari i percorsi da intraprendere.

Non solo scuola: anche l’Università sta attraversando un periodo complicato e si torna a discutere dell’assetto 3+2. Tenendo conto dei requisiti richiesti per esercitare molte professioni, hanno ancora senso le lauree triennali?

La riforma del sistema universitario è stata attuata per conformare l’Italia agli altri Paesi europei dove già esistevano due livelli di formazione e il dottorato. Il fatto che tutti abbiano almeno una laurea triennale rende il processo di scolarizzazione a un livello leggermente più alto rispetto alle generazioni passate e bisognerebbe consolidare anche un percorso più tecnico che qui in Italia è rappresentato solo dagli istituti tecnici della scuola superiore. Il livello di laurea triennale dovrebbe essere quello più diffuso, il livello magistrale sicuramente ha una percentuale di iscritti più bassa ma il vero livello da eguagliare è il dottorato di ricerca a cui prendono parte sempre meno studenti.

Ormai in quasi tutte le regioni sono riprese le attività didattiche, con non pochi ritardi e disguidi. Secondo lei, ci sono delle cose che si sarebbero potute cambiare per quanto concerne il rientro a scuola in presenza?

Bisognava dare la visione che questo ritorno a scuola non era solo una risposta sanitaria alla crisi COVID, ma che era una vera ripartenza per la scuola in una prospettiva che veda il ruolo centrale dell’educazione per lo sviluppo di tutto il Paese. Bisogna ridare alla scuola il posto di prima fila della nuova società che deve uscire da questa crisi che ha coinvolto tutto il mondo.

Oggi si sente tanto parlare di DDI, di DAD, di innovazione tecnologica. La scuola italiana è pronta e dispone dei mezzi e del materiale adatti per affrontare questo salto verso il futuro?

Noi abbiamo affrontato la chiusura delle attività in presenza impreparati, senza una conoscenza diffusa e sistematica di tutte le possibilità che nuove tecnologie offrono alla comunicazione. Abbiamo recuperato molto in questi mesi, ma non abbiamo ancora digerito che la scuola oggi deve poter usare tutti gli strumenti come “strumenti”, cioè mezzi a disposizione per aumentare il nostro modo di vivere assieme. Bisogna però recuperare il senso profondo della scuola. Educazione vuol dire “andare oltre”, oggi l’educazione vuol dire poter affrontare assieme anche una pandemia, un dramma collettivo senza lasciare indietro nessuno. La scuola oggi deve insegnare che il diritto individuale richiede la solidarietà collettiva e quindi la capacità, la competenza, l’esperienza di ognuno per usare tutti i mezzi per non abbandonare nessuno alla solitudine.

Noi studenti siamo fortemente convinti che il nucleo fondante della scuola sia la socialità: la bellezza del frequentare un istituto consiste anche nelle partite a calcetto, nell’ora di educazione fisica, nelle lunghe fila alle macchinette, nelle passeggiate in un corridoio stracolmo il primo giorno di scuola. Come possiamo recuperare tutto ciò? Come si può recuperare quel “vivere sociale” che le norme del distanziamento hanno sicuramente lesionato?

Vedi Gianni, la scuola è certo la socialità del condividere assieme gli spazi e i tempi della scuola, ma è anche la bellezza di imparare assieme, di spingersi assieme a capire la vita che è di fronte e dentro di noi e anche ad affrontare assieme le difficili prove che ci vengono imposte. Le norme sul distanziamento sono misure di sicurezza collettiva, che richiedono uno sforzo di solidarietà e di creatività, che può tradursi in una ricerca di una nuova socialità più ampia di prima, in cui proprio i ragazzi possono raccontare una nuova voglia di comunità agli adulti, che di fronte alle nuove tecnologie sono più indietro dei loro figli.