Io, aspirante docente in eterna attesa del concorso
Quasi due anni di promesse infrante e di illusioni mal riposte si sono portati via il mio sogno e la mia passione. E dato che il tempo mica si ferma ad aspettare, finché non riesco a uscire da questo limbo l’unica certezza che ho è che non ho certezze
Camilla Di Paola | 22 settembre 2020

Non è certo un mistero che le facoltà umanistiche condannino molti giovani alla disoccupazione. Filosofia poi è la laurea “inutile” per antonomasia, quella a cui ti iscrivi tra le risatine e lo sconcerto generali. "Perché proprio filosofia?", ti domandano strabuzzando gli occhi come se avessi annunciato la tua partenza per Marte. Il fatto – tanto ovvio ai tuoi occhi quanto incomprensibile a quelli altrui – che ti sia iscritto semplicemente perché la filosofia ti piace non sembra contemplato.

Sogno nel cassetto

Io, da parte mia, mi sono iscritta sognando di diventare una professoressa. Non esattamente un sogno di gloria, lo so. Eppure per qualche ragione l’idea di avere a che fare coi ragazzi e le ragazze di oggi, gli adulti di domani, era per me fonte di entusiasmo, ispirazione e grinta. Sognavo di rompere nel mio piccolo quello schema oppressivo che da sempre spinge gli studenti a sentirsi dei detenuti, oppressi dalle quattro mura della classe, dall’ansia delle interrogazioni, dalla noia delle settimane che si ripetono tutte uguali e dal peso delle opinioni politiche e morali dei professori che, approfittando del loro ruolo, si sentono in diritto di imporre cosa pensare invece di insegnare loro come farlo. Insomma, per farla breve, forte della laurea appena presa e delle promesse dell’allora Ministro Bussetti, che annunciava un concorso a pochi mesi dalla discussione della mia tesi, pensavo che quel sogno fosse a portata di mano, non certo facile ma almeno raggiungibile. Ma la mia odissea era appena all’inizio.

Odissea

"Il bando uscirà entro giugno", dicono a gennaio 2019. Trattandosi di un breve lasso di tempo, decido di non lavorare e di dedicarmi allo studio.

Arriva giugno e tutto tace. "Niente panico, a luglio sarà tutto pronto".

Arriva luglio e tutto tace. "Abbiamo detto luglio? Intendevamo settembre".

Settembre non fa in tempo ad arrivare: ad agosto si apre una crisi di Governo e poco tempo dopo se ne forma un altro. Valuto l’ipotesi di trovarmi un lavoro ma Fioramonti, il nuovo Ministro, assicura: "Il bando arriverà entro dicembre". Dai, manca poco, se mi metto a cercare lavoro adesso dovrò lasciarlo subito per partecipare al concorso, meglio studiare.

Arriva dicembre e Fioramonti si dimette. Ma allora lo fate apposta! Basta, mi trovo un lavoro. Ma il Ministro Azzolina rilancia la promessa di far partire i concorsi. Decido di crederci un’ultima volta. In fondo cosa può succedere ancora?

Covid. Lockdown. Il mondo si ferma ma incredibilmente il bando esce davvero. I programmi, dati i gravi errori e omissioni, sembra che siano stati messi a punto da bambini dell’asilo... ma pazienza; non c’è una data ufficiale – anche se si vocifera ottobre... ma pazienza; non si sa se e come sarà possibile organizzare un concorso nell’incertezza di una pandemia... ma pazienza; per filosofia, la regione con più posti messi a concorso è il Lazio e i suddetti posti sono solo 30... ma pazienza: finalmente c’è il bando! Per di più riaprono le graduatorie, alle quali mi iscrivo sperando di essere chiamata per una supplenza.

Ma i sindacati protestano e la data di ottobre viene messa in forse; nel frattempo le scuole riaprono, nonostante la mancanza di banchi e di docenti. Ma se mancano docenti, mi dico, convocheranno dalle graduatorie. Beata illusione: ad oggi, le convocazioni sono ancora un miraggio.

Un'unica certezza

Insomma, morale della favola? Quasi due anni di promesse infrante e di illusioni mal riposte si sono portati via il mio sogno e la mia passione, alimentando in me solo un indescrivibile disgusto per una politica in perenne campagna elettorale, che gioca a sparare promesse irrealizzabili sulla pelle di persone reali. E dato che il tempo mica si ferma ad aspettare, finché non riesco a uscire da questo limbo l’unica certezza che ho è che non ho certezze. Anzi, ne ho due: la prima è che, nella mia vita, il lavoro non potrà mai essere un fine a cui tendere ma solo un mezzo; la seconda è che avevano ragione quelli che mi guardavano come un alieno per la mia decisione di iscrivermi a Filosofia.