Transgender, il parere dell'esperto
Un altro articolo dedicato alla comunità LGBT: conoscere per comprendere. Intervista al Dr. Daniele Biondo sul percorso psicologico e di accettazione di ragazzi transgender
Camilla Di Gennaro | 25 settembre 2020

Dopo l'articolo sui fatti di Caivano e l'intervista al linguista Luca Serianni continua la nostra inchiesta sulla comunità LGBT

Abbiamo parlato con il Dr. Daniele Biondo, Socio Ordinario ARPAd, Presidente del Centro Alfredo Rampi Onlus e Docente del Corso di Specializzazione in ‘Psicoterapia psicoanalitica dell’adolescente e del giovane adulto’, del percorso psicologico affrontato dagli adolescenti transgender.

Quali sono i segnali che portano un ragazzo o un genitore a sentire la necessità di richiedere un supporto psicologico per affrontare un percorso relativo alla transizione di genere?

L'adolescenza è il periodo più complesso della vita, è compito evolutivo molto difficile darsi un'identità sessuale e spesso può provocare molta sofferenza. Quando il ragazzo ha difficoltà ad accettarsi o non riesce da solo a comprendere la sua inclinazione personale è necessario richiedere l'aiuto di un esperto che possa guidare l'adolescente in questo difficile percorso di crescita e di accettazione di sè. 

Qual è l'età in cui si cominciano ad avere i primi segnali di difficoltà ad accettare la propria identità di genere?

L'età può essere precoce, fin da molto piccoli ma non è detto che il bambino che manifesta certi atteggiamenti debba poi mantenerli anche dopo lo sviluppo sessuale. Il passaggio pubertario segna la differenza, se viene confermata la sua scelta identitaria diversa rispetto al sesso biologico il ragazzo deve essere indirizzato verso un percorso di accettazione e non deve essere contrastato. È molto probabile che alcuni bambini estinguano invece queste manifestazione nel caso in cui sia frutto di un comportamento patologico: può essere che il bambino, in contrasto con la figura materna o paterna, sviluppi degli atteggiamenti opposti rispetto alla figura con cui entra in conflitto e, una volta risolta la componente patologica, il ragazzo estingua da solo il desiderio di cambiamento di genere.

C'è una spiegazione psicologica oppure è un'inclinazione naturale?

È fra i possibili percorsi evolutivi, anche se è ancora considerato atipico dalla società. Non è più corretto pensare che un ragazzo abbia un problema psicologico, è una condizione che è stata anche eliminata dal DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) come è successo anche nel 1990 per l’omosessualità. Come dicevo prima si deve distinguere tra percorso fisiologico o patologico e intervenire in entrambi i casi con percorsi psicologici mirati.

Quali sono le sensazioni e le problematiche che manifestano questi ragazzi durante il loro percorso psicologico?

La prima paura è quella di essere un mostro, di essere un difetto della natura, di avere un corpo non coerente con la propria personale aspettativa identitaria. C'è un conflitto con il sé “normale” cioè quello che rispecchia le aspettative per aderire al modello altrui e diventare ciò che gli altri si aspettano e c'è poi il sé “autentico”, quello che ogni persona sente di essere al di là delle aspettative della società. Lo psicologo ha il compito di aiutare i ragazzi nell'accettazione del loro sè "autentico". Si sentono spesso emarginati a scuola o in famiglia, devono essere aiutati a non essere giudicati per ciò che sono, l’adolescente deve tradire l’aspettativa dell’altro per crescere secondo la sua spinta identitaria. L’adolescenza è il momento in cui tutti i ragazzi si chiedono chi sono e chi vogliono essere e devono essere sostenuti dagli adulti nelle proprie scelte in ogni ambito. L’adolescente tende ad omologarsi e può mettere da parte la sua vera identità sottomettendosi al gruppo ma prima o poi nella sua solitudine ed intimità incomincia a capire la sua identità e l'essere lasciato solo ad affrontare questo percorso provoca molta sofferenza. 

Quanto incide la società sulla difficoltà ad accettarsi?

Nella nostra società questi ragazzi sono ancora emarginati, la scuola e i genitori molto spesso non hanno gli strumenti adeguati per aiutarli e la scuola dovrebbe rappresentare la vera chiave di volta. Una scuola che marginalizza e che discrimina non può essere considerata una buona scuola. Bisognerebbe attivare nelle scuole un grande lavoro contro il bullismo omofobico perchè spesso questi ragazzi per vivere liberamente la loro condizione si spingono nella clandestinità e possono esporsi al pericolo di diventare vittime di predatori sessuali e così facendo la società, oltre ad esporli ad un pericolo molto grave, li priva della possibilità di vivere la loro condizione serenamente.