Educazione sessuale nelle scuole: una battaglia culturale, non ideologica
L’Italia va verso la chiusura sempre più stringente sull’istruzione sessuale e affettiva nelle scuole, ma i ragazzi ne hanno bisogno più che mai
Asia Vicentino | 21 novembre 2025

Il 15 ottobre 2025 la Commissione Cultura della Camera ha approvato l’emendamento presentato dalla deputata Giorgia Latini, relativo al divieto di introdurre l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole secondarie di primo grado. Risale, invece, a pochi giorni fa la conferma del Ministro Valditara del DDL sul consenso scritto e preventivo delle famiglie per svolgere qualsiasi tipo di attività curriculare o extra, che riguardi la sessualità nelle scuole medie e superiori. 

Già a settembre 2025 in Francia studentesse e studenti ritornavano tra i banchi di scuola consapevoli di trattare una nuova materia: educazione di genere. In Italia, dopo la completa indifferenza del governo agli appelli di esperte ed esperti, in prossimità della giornata mondiale contro la violenza di genere, arriva una notizia dal Ministero. L’educazione sessuale e affettiva, presentata nelle proposte di legge, propone di affiancare ai curricula tradizionali, un percorso di consapevolezza sociale e individuale dell’ormai palese problema di genere. Come nel caso francese, le lezioni proposteprevedono per ogni scuola e grado confronti mirati alla maturazione nelle future generazioni di una coscienza maggiormente sensibile nei confronti dell’altro, della gestione delle proprie emozioni, dello svelamento di dinamiche violente nascoste dal senso comune. 

Nello scrivere l’articolo mi imbatto in un ricordo del liceo: la lezione è di letteratura greca, la docente guarda con soddisfazione un termine nel quale ci imbattiamo, ricordo il suo sorriso un po’ beffardo e resistente, esclama: “io educazione sessuale la faccio tutti i giorni”. Il termine in questione è καταπύγων, trovato in uno scambio di battute nelle Tesmoforiazuse di Aristofane. La battuta riguarderebbe un insulto rivolto dal suo servo ad Agatone, uomo aristocratico ateniese che si diletta nel canto e nella composizione. Il vocabolario greco-italiano Montanari mi propone la traduzione del termine con: piglia in culo, rottinculo, zozzone, perverso. La traduzione letterale sarebbe: culo aperto. Una traduzione imbellita da termini neutri, voluta da censure moraliste, è storicamente e culturalmente irrispettosa. Essa cancellerebbe una delle prassi comiche più tradizionali greche, celanti, nella piena organicità al genere letterario, dinamiche sociali assodate dagli autori e dal pubblico. L’insulto del servo è una battuta e non fa ridere per il fatto che in italiano sia tradotto con linguaggio volgare e rozzo, quanto per il retroterra culturale che ingloba. Oggi, probabilmente, non risultaneanche più comica: le sensibilità cambiano con le generazioni e così l’esito di momenti, in questo caso letterari, pensati come ironici in luoghi e tempi specifici. Culo aperto allude alla posizione passiva delle donne etero e degli uomini omosessuali nelle pratiche sessuali. Che le donne avessero un ruolo passivo nelle situazioni intime era (l’uso dell’imperfetto sostituisce in realtà un tetro presente) socialmente dato per scontato e sostenuto, riflettendo una prevaricazione prima di tutto individuale. La pratica intima dell’omoerotismo era, invece, una legge non scritta ma tacitamente accettata. L’omoerotismo maschile greco era una dinamica non d’eccezione, trattandosi, quando non di amore romantico, di uno dei momenti della paideia o educazione greca: vivere un momento di passività sessuale perpetrata dal proprio maestro. La battuta riguarderebbe non solo l’insulto a essere omosessuale, quanto anche all’aver assunto posizioni femminee in una situazione che prevederebbe uno stato di superiorità. Non spiegare una scena teatrale di tale calibro, annullerebbe una tradizione secolare di ironia misogina e omofoba che è insita nella cultura greca, come nella coscienza letteraria europea di tutti a secoli a seguire. 

Il Governo italiano fatica a comprendere che studiare e arginare la piaga della violenza di genere non può essere una questione solamente biologica e che il vero progetto sociale deve mirare a prese di posizione più nette nel sistema culturale. Chi vota divieti e censure, combatte la violenza di genere come fosse una battaglia ideologica, partitica e individualistica, quando il vero problema è che bisogna combattere una cultura intera. Parole, pensieri, gesti, atteggiamenti, suoni, economie sono tutte legate e tra loro influenzate nel grande spettro della cultura della prevaricazione dell’altro. Davanti al divieto governativo di educare alla gestione delle emozioni, alla strumentalizzazione dell’altro e alla conoscenza del proprio e dell’altrui corpo, la scuola continua ad avere il diritto e il dovere di operare nella piena libertà decostruttiva dei processi mentali inconsciamente violenti. Ogni docente ha l’infallibile potere di possedere un patrimonio di conoscenze e mezzi per educare studentesse e studenti prima di tutto a riflettere sui contenuti. I sistemi educativi pensati per l’oppressione sociale elogiano i contenuti e la quantità di questi, a discapito di insegnamenti metacontenutistici, ovvero delle riflessioni atte a sciogliere le loro trame. 

Lo sviluppo del pensiero critico non ha età né grado di istruzione: nell’ostilità governativa la scuola deve riorganizzare i propri materiali nel progetto sociale universale di insegnare a pensare dietro le parole. Mi torna sotto mano un testo: The House on Mango street, pubblicato nel 1983 da Cynthia Cisneros, scrittrice ispano-americana stanziata a Chicago. La voce di una bambina, Esperanza, l’autrice nelle vesti dell’innocenza infantile, narra la sua realtà quotidiana di razzismo, diversità, confinamento sociale e urbano nella cecità di un sistema violento decorato dallafascinazione del sogno di rinascita americano. Davanti allo stop istituzionale di parlare di ciò che platealmente attiene al tema della sessualità, proporrei a una scuola media la lettura e decostruzione di un passo:

Red Clowns

Sally Sally a hundred times. Why didn't you hear me when I called? Why didn't you tell them to leave me alone? The one who grabbed me by the arm, he wouldn't let me go. He said I love you, Spanish girl, I love you, and pressed his sour mouth to mine. Sally, make him stop. I couldn't make them go away. I couldn't do anything but cry. I don't remember. It was dark. I don't remember. I don't remember. Please don't make me tell it all. Why did you leave me all alone? I waited my whole life. You're a liar. They all lied. All the books and magazines, everything that told it wrong. Only his dirty fingernails against my skin, only his sour smell again. The moon that watched. The tilt-a-whirl. The red clowns laughing their thick-tongue laugh. Then the colors began to whirl. Sky tipped. Their high black gym shoes ran. Sally, you lied, you lied. He wouldn't let me go. He said I love you, I love you, Spanish girl.

Sally è l’amica più cara a Esperanza: stessa età, stessa reclusione nella farsa della protezione di quartiere, amiche nella inconsapevole violenza domestica e non. Cynthia nei suoi dodici/tredici anni è attratta dai complimenti di un uomo, fino a quando lo scambio di falso affetto si trasforma in uno stupro. Il panico e la paura sono la conseguenza della realizzazione del sopruso e l’unica via d’uscita sembra quella di chiamare un’amica. 

La realtà di una bambina viene ribaltata e guastata dallo svelamento della totale mancanza di infantile e onirica poesia nel mondo degli adulti. Universo dove il corpo di un uomo diventa la disgustosa forma di un mostro che può possederne un altro, in cui l’amore viene manipolato come strumento di controllo e l’essere spagnola è per definizione attraente. Il mondo diventa un indifferente testimone della viscida e culturalmente accettata iper sessualizzazione di un corpo perché nero, perché ispanico. La luna ha assistito imperturbabile alla normalizzazione della misoginia e nel trauma Esperanza è sola con sé stessa. L’autobiografia nascosta di Cisneros, nella semplice narrazione vignettistica di episodi di vita, svela le trame di un sistema violento e razzista, dove per comprendere i messaggi basta l’evocazione patetica e toccante di un immaginario da scuole medie che può essere anche mostruoso.

La realtà della situazione non può non mettere in luce che il fallimento del progetto di educazione nelle scuole sia anche dovuto all’approccio dialettico errato dei gruppi politici che lo sostengono. La tendenza a rilegare la dialettica di scontro a un bipolarismo spinto, accettare o meno l’educazione sessuo-affettiva, dei partiti progressisti sul tema, ha dimostrato il suo non funzionamento. Esiste uno spazio, quello della scuola pubblica, dove la cultura degli insegnanti trascende, perché libera, qualsiasi tipo di dettame politico. Allargare la lotta ai fondi tagliati alle istituzioni scolastiche, al ritorno a una cultura di possibilità materiali e di stato sociale, a un canone solo maschile nei concorsi pubblici, sono solo alcuni dei passi necessari nella battaglia dialettica politica verso la nuova educazione di genere.