Il clubbing in Europa è stato dagli anni '80 al centro degli interessi giovanili: le file fuori da magazzini industriali, i dancefloor lucidi, i cocktail al bancone tra luci a intermittenza. La nightlife inglese, berlinese, milanese era pura occasione di scoperta musicale ed espressione identitaria, un movimento culturale di ribellione generazionale. Oggi le discoteche sono sempre più vuote e il loro futuro risulta incerto. Chiedendo all’uscita di un liceo romano quale sia il rapporto dei frequentatori e delle frequentatrici di oggi con il clubbing, emergono punti di vista diversi: l’entusiasmo sussiste ma di leggende della techno e rivoluzione culturale non parla nessuno. Il clubbing starebbe morendo ma si sta estinguendo un’era della nightlife, per lasciare il posto a una nuova espressione di disagi quotidiani.
Francesca, 16 anni: “Sarò sincera, non mi piace andare in discoteca. L’ambiente, in particolare la sensazione di claustrofobia, quando tutti stanno appiccicati, mi soffocano. La musica a tutto volume mi impedisce di parlare, neanche due chiacchiere sono possibili. Le persone bevono, fumano e vomitano, sarebbe un luogo in cui non mi troverei minimamente a mio agio”.
Luca, 18 anni: "A me piaceva andare a ballare, poi ho capito che non si può più godere la serata con gli amici. Si creano sempre situazioni violente e pericolose e la maggior parte del tempo serve per prevenirle e allontanarsi. Se non mi sento al sicuro, non sono veramente libero e sono a disagio”.
Priscilla, 18 anni: "In declino? Se mi chiudessero il Piper, piangerei. Quando ballo mi sento viva, è il momento in cui spengo tutto: pensieri, stress, aspettative. La musica è il mio linguaggio e amo perdermi tra le luci, l’energia della gente e le vibrazioni che senti dentro lo stomaco. Ballare è una dichiarazione: sono giovane e me la voglio godere tutta”.
Chiara, 17 anni: "Non ci sono mai stata ma non credo mi sentirei a mio agio, prima di tutto in quanto ragazza. Ho la sensazione che ci sia richiesto di vestirci in modo attraente perché lì dobbiamo essere il prodotto della serata, non a caso molte volte le ragazze entrano gratuitamente. I vestiti corti non li metto, ma non me lo permetterebbero neanche i miei genitori e la cosa non mi pesa”.
Leonardo, 19 anni: "In discoteca si balla o si beve. Personalmente non mi piace ballare ma mi è capitato di andarci per accompagnare mie amiche e prevenire situazioni spiacevoli. Le frequentazioni sono pessime in quasi tutti i locali: si entra solamente con l’obiettivo di ubriacarsi il prima possibile e ho detestato vedere negli occhi di giovani brilli quella sensazione di potenza e infallibilità, che tra l’alcol e la musica da stordimento, li fa sentire padroni degli altri e del mondo”.
Rebecca, 18 anni: “A me piace la discoteca e tanto. Ci vado per ballare e passare una bella serata con i miei amici ma soprattutto le amiche. Il momento in cui ci prepariamo, decidiamo cosa metterci e come truccarci. Io adoro ubriacarmi, e non c’è momento migliore se non con della bella musica: la mama de la mama, i 4K, i neri brasiliani e il funky”.
Benedetta, 19 anni: "Per me è necessario andare a ballare. Lo concepisco prima di tutto come del tempo condiviso con le mie amiche, ed è con loro che vado solamente. Ho notato che se non fossi con loro, mi sentirei in pericolo. Si beve troppo e spesso, anzi quasi sempre, le situazioni sfuggono dalle mani e davanti a coetanei in crisi, in pochi reagiscono e cercano di aiutare. Io, da ragazza, posso fare poco ma bisogna stare attenti”.
Giulio, 19 anni: “Lo so che sembra paradossale, perché in realtà sono pensati come luoghi per socializzare, ma un luogo così buio e con la musica così alta, soprattutto scadente, non mi dà la possibilità di fare conoscenze, anche in maniera genuina. Si finisce sempre a stare in un angolo più distaccato con i soliti amici a ballare tra di noi: mi sento meno a disagio, almeno so cosa può accadere e cosa no”.
Elena, 15 anni: "Personalmente amo la musica e ballare, soprattutto il Reggaeton. Al chiuso ci sono andata poche volte, preferisco decisamente i locali all’aperto, dove non percepisco l’aria pesante e la vicinanza eccessiva delle persone per muoversi con più libertà”.