"Tutti quanti voglion fare il jazz!"
A tu per tu con Paolo Damiani, uno dei più conosciuti jazzisti italiani nel mondo
Giuseppe Scaduto | 12 dicembre 2021

Violoncellista, contrabbassista, compositore ed ex direttore dell’orchestra nazionale francese, Paolo Damiani è uno dei più conosciuti esponenti italiani del jazz d'avanguardia al mondo. Ha lavorato, tra gli altri, con Gianluigi Trovesi, Kenny Wheeler, Tony Oxley, Paolo Fresu e John Taylor. Damiani ha anche registrato negli album di Deep Forest e Bauhaus.

 

Com’è nata la tua passione per il jazz e in generale per la musica?

La mia passione per la musica è nata intorno agli anni ‘60, quando a sedici anni decisi di cominciare a suonare la chitarra, ispirato da band come Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd e molte altre che hanno fatto la storia della musica. Dopo la chitarra mi sono appassionato molto al basso elettrico e da lì è cominciato il mio amore verso il jazz, ascoltando artisti come Miles Davis, Ornette Coleman, Charlie Haden…. Poco dopo cominciai a suonare il contrabbasso e il violoncello, che mi hanno permesso di avvicinarmi ancora di più a questo mondo.

 

Parlaci del tuo ruolo di “mentore” per i giovani talenti jazz…

Tramettere la passione per il jazz ai giovani è una cosa che porto avanti da tanto tempo: avendo insegnato per 35 anni in conservatorio sono sempre stato in contatto con i giovani. Quando si scopre un talento è sempre una gioia, anche perché quando trovi le persone giuste non è più un lavoro, ma diventa una vera e propria ricerca che fai insieme a loro. Mi sono spesso impegnato nel creare orchestre jazz, ne ho fondate diverse con l’obiettivo di creare un autentico laboratorio, un gruppo compatto composto da giovani musicisti. La prima orchestra che feci di questo tipo fu nel 1996 per conto dell’Ismez (istituto per lo sviluppo della musica nel mezzogiorno), con diversi concerti e la registrazione di un CD.

 

Cosa puoi dirci dell’evento “Buon compleanno Casa del jazz”? Com’è nata l’idea?

La Casa del Jazz, gestita dalla Fondazione Musica per Roma, rappresenta per i giovani una grande opportunità poiché consente di suonare in uno spazio prestigioso: questo dona loro senso di responsabilità e soprattutto molta esperienza, che permette poi di esibirsi in maniera molto più sicura anche su palchi internazionali.

 

Come hai visto cambiare il mondo del jazz in questi anni?

Sono felice del fatto che negli ultimi decenni molti ragazzi studino jazz al conservatorio, io sono stato uno dei primi musicisti jazz a ottenere la cattedra, ora ogni conservatorio dispone di un Dipartimento jazz con tutti gli strumenti, il corso di composizione, di storia etc etc…. Vedere che, rispetto a quando ho iniziato io, ci siano molti più giovani con la passione del jazz mi rende felice.

 

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ci sono tanti progetti “in pentola”, soprattutto la direzione dell’ONJGT (orchestra nazionale jazz giovani talenti) prodotta da Musica per Roma e la venticinquesima edizione del festival. Una striscia di terra feconda, insieme ad Armand Meignan, Deborah Compagnino e Roberto Catucci. In generale mi auguro che il percorso possa continuare ad andare avanti, riservandomi sorprese, emozioni, nuovi incontri.