In un contesto europeo caratterizzato da un’apatia giovanile, il 2025 segna un anno di ribaltamento. Soprattutto in Italia, negli ultimi mesi, ragazzi e ragazze si sono spesi per la questione Palestinese scendendo in piazza. “Blocchiamo tutto” è la frase con cui, per sostenere la libertà e la riuscita della missione della Global Sumud Flotilla, i giovani si sono fatti sentire. Sono state occupate centinaia di università, bloccate le tangenziali e le stazioni delle città più importanti, sono stati fatti interventi pubblici a microfoni aperti nelle piazze, si sono riuniti in migliaia nei cortei per la Palestina. La scuola e i giovani, in testa a ogni corteo. Le manifestazioni segnano un nuovo interesse, un'energia collettiva, la compassione dei giovani che si rivedono nei ragazzi della Striscia di Gaza, e che non vogliono più fare silenzio.
Erano 50.000 il 22 settembre a Roma, 300.000 il 3 ottobre, più di 100.000 a Milano nello stesso giorno, così come a Bologna e in Emilia Romagna. È nata una volontà di lotta e ribellione nei confronti dei soprusi che i popoli devono subire da parte dei governi. I giovani e le giovani vogliono condannare crimini e massacri compiuti da parte di Israele che rimangono impuniti dall’osservazione mondiale. Non si tratta solo di schierarsi pro o contro, ma di chiedere trasparenza, coerenza, e che lo stato italiano e l’Europa siano all’altezza dei valori che dichiarano. I giovani e le giovani gridano per mostrare pietà ed empatia verso tutto ciò che sta succedendo. Sono le voci infuriate di chi vede il proprio futuro, e quello di tanti ragazzi, cadere a pezzi. La mobilitazione giovanile per Gaza è un segnale forte: piazze piene, volti giovani, slogan chiari. Dietro tutto questo c'è la volontà effettiva di rimanere fuori dal silenzio, divenuto inaccettabile.
Generazione apatica
Eppure, sempre più spesso, gli adulti parlano della Generazione Z come di una generazione apatica, che non ha voglia di fare nulla, non reagisce agli stimoli e non si batte per nessun ideale. Il motivo? Confondono il malessere con l’apatia. Quando un giovane italiano su 5 dichiara di trovarsi in condizioni di malessere psicologico (Ricerca “Giovani e Benessere Psicologico: i dati dell’indagine del Consiglio Nazionale Giovani” 2025), con quote che salgono al 26% tra i giovanissimi (18-24 anni), non significa che non proviamo nulla: tutt’altro! Quando quasi la metà dei giovani europei segnala difficoltà di salute mentale nell’ultimo anno (rapporto dell’UE “The situation of young people in the EU in 2024”), non significa che non proviamo nulla: tutt’altro! Oggi, apatia è sinonimo di “insensibilità”, “impassibilità”, eppure, al tempo dei greci, era considerata una virtù stoica ed epicurea: uno stato di equilibrio interiore e distacco dalle passioni irrazionali. Eppure, quando è stato il momento, i giovani hanno dimostrato di saper riempire le piazze al pari delle generazioni precedenti. Lo sciopero globale del clima del 27 settembre 2019 portò in piazza 1 milione di italiani, a maggioranza giovani e giovanissimi. Per Gaza, stesso copione. Non sono battaglie politiche o ideologiche, non ci sono colori o sotterfugi: a portarci in piazza sono le ingiustizie di un mondo che non è in grado di mettere al centro rispetto, pace, diritti. È più comodo definirci “apatici” che interrogarsi sulle cause profonde del nostro disagio generazione: un sistema educativo frammentato, un mercato del lavoro incerto, una politica che raramente parla la nostra lingua. Ma dietro quella che molti adulti scambiano per indifferenza, si nasconde spesso un bisogno di giustizia e di ascolto. L’apatia, in questo senso, non è assenza di emozioni, ma reazione a un mondo che nega la possibilità di incidere davvero.
Giovani in piazza
Queste manifestazioni non sono episodi isolati, ma si inseriscono in una continuità di mobilitazioni giovanili che attraversano gli ultimi anni: dai Fridays for Future alle proteste contro la violenza di genere, fino alle occupazioni universitarie per il diritto allo studio. È la stessa generazione che ha vissuto la pandemia, la precarietà, la crisi climatica e ora la guerra. Un’intera fascia d’età che ha imparato a riconoscere nella piazza un luogo di riconnessione collettiva, dove l’indignazione diventa azione e la paura si trasforma in solidarietà. Vedere migliaia di giovani in piazza è un promemoria importante: quando una causa ci tocca, che questa sia etica, politica o umana, noi non esitiamo. Non tutti siamo rassegnati di fronte alla violenza, ci sono associazioni, ragazzi e amici che protestano, che alzano la testa e ci mettono la faccia, la piazza è il luogo della democrazia, e noi non si ci stiamo tirando indietro: alzano la voce laddove il silenzio fa troppo rumore.
