Essere preside in periferia: “Scendo in strada a riprendermi i ragazzi”
Eugenia Carfora ci racconta il ruolo della scuola nelle zone più disagiate: “Lo Stato è distratto, ma io credo nella bellezza dei ragazzi”
30 gennaio 2020

Dirigente dell’Istituto Superiore Morano di Caivano, Eugenia Carfora lotta quotidianamente per proteggere i ragazzi dalle tentazioni e proporre loro un’alternativa al disagio sociale del Parco Verde di Caivano (NA). Scuola come possibilità di riscatto ed “etichetta di qualità”. 

 

Che cos’è il Parco Verde dove si trova la sua scuola?

Il Parco Verde è una frazione del comune di Caivano, un quartiere sensibile, in cui regna un’autonomia di gestione. In questi “luoghi maledetti” le persone sono lasciate sole: abbandono, degrado, impossibilità di credere nel concetto di civiltà… però allo stesso tempo ci sono la scuola, la chiesa, e soprattutto la bellezza dei ragazzi. Al Parco Verde non basta una rinascita: c’è bisogno di credere nella gente.

 

E lei come lo fa?

Lo faccio con il cuore. L’insegnante e il dirigente scolastico hanno la possibilità di preparare le nuove generazioni al proprio futuro. Io credo sia un privilegio, ma allo stesso tempo una grande responsabilità: se vivessimo il nostro ruolo con distacco, rischieremmo di infliggere un altro colpo basso a questi ragazzi. Qui ti devi re-inventare, perché oltre che dai programmi scolastici, ti devi far guidare dal buonsenso, da tanta umanità. Se riesci ad entrare nel cuore dei ragazzi è facile arrivare al risultato, ma ci vogliono continuità e determinazione. 

 

Lei è una di quelle presidi che scendono in strada, che cosa vuol dire?

Quando sono arrivata qui per la prima volta, volevo semplicemente immaginarmi una scuola normale, senza l’abitudine di venire un giorno sì e uno no. È per questo che la prima cosa che ho fatto è stata scendere tra i viali, e mentre camminavo ho visto la gioia negli occhi della gente affacciata sui balconi, perché molti di loro sono impotenti davanti ai propri figli. Dopotutto, se un ragazzo nasce in disagi totali, spesso con madri troppo giovani, in un contesto dove manca la cultura, è più difficile che vada a scuola. Ho capito che quando qualcuno non viene da me, sono io che devo andare da lui. Il nostro compito è soprattutto proteggere i ragazzi dalle tentazioni, e la scuola può fare la differenza.

 

Lei ha dichiarato che “quando i ragazzi stanno a scuola hanno una faccia diversa rispetto a quando sono fuori”. Che potere ha l’istruzione sui ragazzi, soprattutto nelle zone degradate?

La scuola ha un potere straordinario, quello di alleviare qualche dolore, di prevenire, di curare, e di dare opportunità. Nel mio primo quinquennio all’Istituto Morano ho visto diplomarsi solo il 50% degli studenti, ed è un dolore immenso, perché poi fuori dalla scuola è difficile trovare opportunità per tirare fuori la propria creatività e rimettersi in gioco. La dispersione dipende sicuramente da vari fattori: in primo luogo le tante abitudini sbagliate e l’impossibilità di lavorare al meglio come insegnante - anche per via dei pochi finanziamenti dello Stato - ma soprattutto l’impotenza delle famiglie nel capire cosa accade ai loro giovani. Proprio per questo è fondamentale essere presenti come scuola.

 

In tutto ciò lo Stato dov’è?

Molte volte lo Stato è distratto, vittima delle abitudini, e prima che si accorga di certe problematiche, io ho già perso dei ragazzi. Ma lo Stato siamo anche noi; tutti devono mettersi al servizio degli altri. Per questo voglio far vivere delle esperienze positive ai miei studenti, e dire loro che ci sono altri colori nel mondo, altri sistemi.