Azeglio Vicini: solo Maradona riuscì a fermare il suo sogno
Omaggio al Commissario tecnico che guidò la Nazionale a Italia '90, scomparso all'età di 84 anni
Roberto Bertoni | 31 gennaio 2018

Azeglio Vicini, quello delle Notti magiche. Abbiamo appreso stamani la notizia della sua scomparsa, all'età di ottantaquattro anni, e la memoria è subito corsa a quei giorni d'estate di quasi trent'anni fa, quando con i suoi modi da romagnolo vecchio stampo riuscì a far coesistere e rendere al meglio due cavalli di razza come Baggio e Schillaci, coadiuvati dallo smisurato talento di Vialli e dalla solidità di una difesa tra le più forti di sempre. 

Ricordiamo ancora quei sogni di giugno, quelle notti scandite dalle note della Nannini e di Bennato, quelle speranze con le dita incrociate, la disperazione dopo l'eliminazione in semifinale, a Napoli, contro l'Argentina del divino Maradona, il terzo posto conquistato a Bari ai danni dall'Inghilterra e i rimpianti legati a una Nazionale formidabile, costretta ad arrendersi al cospetto della sfortuna e di un mito amato dai partenopei quasi più degli Azzurri (forse possiamo togliere il quasi), a sua volta sconfitto in finale dalla sfortuna e da un rigore concesso alla Germania post-Muro che il "Pibe de oro" non ha mai accettato. 

Azeglio Vicini: un grande commissario tecnico, capace di raccogliere la difficile eredità di Bearzot e di plasmare una squadra di primissimo livello, partendo dell'Under 21 e forgiando un gruppo di campioni che sarebbe durato un decennio, regalandoci una finale a USA '94 e un'onorevole sconfitta ai quarti al Mondiale di Francia, subendo anche in quel caso un'atroce beffa ai calci di rigore. 

Si potrebbe scrivere una Treccani sul complesso rapporto fra la nostra Nazionale e i rigori: croce e delizia, sinonimo di gioia e, il più delle volte, di sofferenza, roulette russa straziante e autentici spartiacque nella carriera di chi ne è protagonista e, come nel caso di Vicini, vittima. Se avesse vinto, infatti, sarebbe stato considerato superiore persino a sua maestà Bearzot; avendo perso, il suo nome è stato quasi dimenticato, relegato a un oblio che non meritava affatto e riscoperto solo negli ultimi anni, più per il galantuomo che è sempre stato che per i suoi innegabili merito sportivi. 

Azeglio Vicini da Cesena ha subito, in poche parole, la maledizione di essere il primo degli ultimi in un Paese che non perdona le sconfitte, che non sa apprezzare le vittorie e che non è capace di proteggere e valorizzare i suoi esponenti migliori, vivendo ormai da troppo tempo in uno stato di perenne isteria. 

E così, il mite e pragmatico Vicini è stato accantonato, considerato un tecnico minore, ignorato e, al massimo, tenuto da conto per esaltare strumentalmente una sorta di questione morale pallonara, trattandosi di una personalità integerrima e senz'altro preferibile ad alcuni dei successori. Ora verrà riscoperto e, forse, qualcuno inizierà oltremodo a esaltarlo. Non costa nulla e porterà lustro a chi lo farà. Quanto all'Azeglio, da lassù, credo che continuerà a battersi contro ogni ipocrisia, lui che i ciarlatani li ha sempre detestati.