Russia 2018: ma questi Mondiali sono davvero una sorpresa?
Roberto Bertoni | 20 giugno 2018

Ma sono davvero una sorpresa queste outsider che si permettono di fermare le grandi e, in alcuni casi, si concedono addirittura il lusso di batterle? È  davvero una sorpresa quest'Islanda allenata da un dentista in cui un regista, che si diletta a fare anche il portiere, si permette di parare un rigore a Sua Maestà Lionel Messi, dall'alto dei suoi 48 milioni netti annui di stipendio made in Barça? E questo Messico che non osa stendere il tappeto rosso al cospetto della Germania campione uscente; anzi, la batte e vola in testa al Girone F? E la Svizzera che non si lascia intimidire da O' Ney, al secolo Neymar, probabile potenza egemone del futuro con qualche ambizione anche per il presente? E che dire dell'Australia che fa sudare sette camicie alla Francia messa, oggettivamente, male in campo da Deschamps? Senza contare che l'Inghilterra si è dovuta affidare all'istinto da cecchino d'area di Kane per avere la meglio su un'onesta e combattiva Tunisia, proprio come l'Uruguay ha dovuto far ricorso a Gimenez, difensore col vizio del gol, per stroncare le resistenze del pressoché già eliminato Egitto. Ah, dimenticavo la Colombia che, all'esordio, non ha trovato di meglio che perdere col Giappone, vanificando quanto di buono aveva fatto vedere quattro anni fa in Brasile. 

Che succede, dunque, ai Mondiali di Russia 2018, dove solo i padroni di casa del talento forse bianconero Golovin sembrano essere in ottima forma, al pari del Belgio che tuttavia, a sua volta, ha avuto bisogno di quarantotto minuti per imporre la propria legge ai poveri cristi di Panama? Perché tanto equilibrio, tanta penuria di stelle, tante partite bloccate per circa un'ora, tanti schemi tattici che saltano e tante certezze che vengono meno? Può anche darsi che nella seconda giornata tutto si ribalti o, per meglio dire, tutto torni alla normalità, con CR7 che continua a fare il marziano, la Spagna che torna ad esibire il suo iridescente tiki-taka, Messi che riprende la sua sfida all'arcirivale portoghese e all'amico-incubo Diego, gli islandesi che placano la loro vulcanica furia agonistica e la Germania che torna panzer e spiana gli avversari uno dopo l'altro. Può anche darsi che vada a finire così, con il Brasile che comincia a incantare sul serio, Neymar che lancia il proprio guanto di sfida a Dybala Mbappé per aggiudicarsi il trono nel prossimo decennio, la Francia che accantona un po' della sua proverbiale boria per sporcarsi dignitosamente le mani con i comuni mortali che dovrà affrontare e i sogni che muoiono all'alba, come in un celebre dramma teatrale di Montanelli dedicato alla Rivolta ungherse del '56. Può anche darsi che vada a finire così e allora saremmo tutti contenti perché chi ha scommesso incasserebbe qualcosa e chi, come il sottoscritto, non scommette ma si diverte a fare pronostici, potrebbe dire di averne azzeccata almeno qualcuna. Però poi pensate a cosa sarebbe successo se nel '50 il Brasile avesse massacrato l'Uruguay di Varela e compagni, se uno sconosciuto non avesse frenato, almeno temporaneamente, le ambizioni di Messi, se nel '66 un nord-coreano che da allora ci sta più antipatico di Kim Jong-un non avesse rispedito a casa gli inguardabili Azzurri di Mondino Fabbri, pensate a cosa sarebbe il calcio se non fosse così magnificamente imprevedibile e sedetevi comodi davanti alla tivù, a gustarvi, con un bel gelato in mano, la meraviglia di uno spettacolo che è tale proprio perché anche l'impossibile, talvolta, può avvenire.