Atypical
Netflix continua a rivelarsi foriera di contenuti che vogliono porre l’accento su questioni importanti come Tredici e Fino all’osso, regalando agli spettatori una nuova mini-serie che fa riflettere in maniera molto “atypical” sull’autismo
Gaia Ravazzi | 2 novembre 2017

Sam frequenta le superiori, lavora part-time in un negozio, ama i pinguini ed è autistico. 

Per la precisione autistico ad alto funzionamento, ma questo è allo stesso tempo il centro e la sotto-trama della serie.

Se infatti Sam, interpretato da Keir Gilchrist, è sì autistico, riveste, però, nella serie molti altri ruoli: quello di amico, studente, figlio, ragazzo innamorato, paziente, tutti letti attraverso la chiave della sua “atipicità”.

La storia ruota intorno alla famiglia di Sam e alla declinazione del concetto di amore: la madre di Sam, Elsa, interpretata da Jennifer Jason Leigh, cerca di scappare inseguendo la propria indipendenza fuori dal nucleo famigliare; il padre, Doug (Michael Rapaport) si sforza per ricostruire il rapporto con il figlio e la sorella Casey (Brigette Lundy-Paine) si sente legittimata a prendere una decisione importante per la sua carriera scolastica ormai che il fratello è grande.

Sam, invece, si barcamena tra la vita di tutti i giorni e la sua volontà di trovare una fidanzata.

Il parallelismo tra la realtà che vive il ragazzo e i pinguini in Antartide, sempre presente come fil rouge, aiuta lo spettatore a capire il mondo dal punto di vista di Sam in maniera molto adatta, ad esempio, se si conosce poco questa realtà. Complice anche la colonna sonora, che fa entrare lo spettatore nella testa di Sam spesso anche a livello sensoriale.

Tuttavia quello che risulta come l’aspetto meglio riuscito è sicuramente la dinamica famigliare e in particolare il rapporto con la sorella minore: da un lato protettiva, dall’altro alla ricerca della propria vita indipendente da quella del fratello.

La serie non scava nel profondo, se non in rare occasioni, ma cerca di creare un’atmosfera dolce che strappi un sorriso allo spettatore, mischiando dramma e commedia. Si crea così una sensazione dolceamara nel pubblico che si ritrova a ridere, o meglio, sorridere delle vicissitudini che accadono al protagonista ma allo stesso tempo a riflettere.

L’idea convince anche perché facendo ironia si puntano i riflettori sulla realtà di un ragazzo autistico che merita di essere raccontata e capita anche solo un 1% di più.

La realizzazione ha coinvolto anche la dottoressa Michelle Dean che ha lavorato presso il Centro per la Ricerca sull’autismo, fornendo all’interpretazione del giovane Sam un tocco di credibilità in più, anche se tra le critiche più aspre vi sono state proprio quelle rivolte ad una resa eccessivamente stereotipata dell’autismo, giustificabili solo in parte pensando che la serie sia volta al coinvolgimento della massa.

Complessivamente la serie-tv fa emergere alcune lacune, sebbene esplichi in maniera esaustiva le difficoltà di un teenager autistico alle prese con la vita sociale e l’amore. Sam ci rivela come siamo tutti un po’ atipici e incontriamo tutti delle difficoltà, seppur di natura diversa.