Quando viaggiare non è solo un passatempo
Da quando i social network sono diventati parte integrante della vita sociale e relazionale dei giovanissimi, anche il viaggio e la sua concezione sono cambiati. Non si tratta solo di svago e relax, ma di collezionare emozioni da condividere
Matteo Storti Gajani | 2 novembre 2017

Viaggio. Stessa parola, significato diverso: negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un notevole (e chiaro) cambio della concezione della parola “viaggio”. Se è vero quello che penso, ovvero che la vita non si misura in anni ma in emozioni, negli ultimi anni il viaggio è diventato una sorta di esigenza, qualcosa di cui quasi non si può fare a meno. Non importa più tanto il “dove”, e quindi la spesa, ma la quantità di emozioni ed avventure che un determinato posto ci potrà offrire. Da questo punto di vista anche l’Italia è un luogo ricco, anzi, ricchissimo di potenziali destinazioni dove trascorrere anche solo un weekend.

 

Non solo una questione di curiosità

Da alcuni studi degli ultimi anni, sembrerebbe che viaggiare non sia esclusivamente una questione legata alla nostra curiosità personale. In diversi convegni ed in diverse occasioni, si è iniziato a parlare della “sindrome del viaggiatore” meglio nota con il termine di “Wanderluster”, parola tedesca intraducibile che identifica colui che è sempre e costantemente alla ricerca di nuove esperienze ed emozioni.

Secondo uno studio condotto da David Dobbs della National Geographic, questa continua voglia di nuove esperienze è racchiusa nel nostro DNA, per la precisione nel gene DRD4, responsabile della regolazione della dopamina nel cervello.  Tuttavia, questo particolare gene non è presente in tutti: solo il 20% della popolazione lo ha ed è più comune nei luoghi in cui il passato e la storia hanno spinto i popoli a migrare, andando alla scoperta di un territorio completamente sconosciuto.

 

Sempre più social

Viaggiare oggi non è mai stato così semplice. Un tempo bisognava andare in agenzia, richiedere dei cataloghi e scegliere la meta solo in base a delle foto stampate. Con l’arrivo di Internet, scegliere una meta è diventato ancora più semplice e veloce. Con una semplice ricerca si possono vedere migliaia di risultati, foto, guide on-line, blog, recensioni, mappe e, non da meno, alberghi. Ma prima ancora di arrivare a Google, dobbiamo capire chi ci ha spinto ad effettuare quella ricerca, a creare in noi quella curiosità che prima o poi ci porterà in quel posto. I responsabili, per tutti coloro che sono registrati, ovviamente, sono proprio i social network ed i blog.

Negli ultimi anni, i social network sono diventati parte integrante della vita dei giovanissimi ed ormai non possiamo più fare a meno di pubblicare una foto o condividere qualche dettaglio della nostra giornata. Lo stesso accade, in misura maggiore, mentre siamo in viaggio. A quanti di noi sarà capitato di pubblicare una foto di un paesaggio? Bene, quella foto sarà vista da tutti i nostri followers i quali potrebbero essere attratti da quel luogo ed in futuro potrebbero pensare di visitarlo. Ma se noi siamo un esempio in piccolo, è doveroso delineare quelle che sono le nuove figure professionali, nate proprio da questo semplice e banale principio. Stiamo parlando dei travel blogger. In questa parola si racchiudono anche altre figure, ognuna con una sua specifica area di competenza, (video, foto, scrittura) più sviluppata rispetto alle altre.

Il travel blogger, in sostanza, è una persona che viene finanziata in tutto e per tutto da una catena di alberghi, dall’ente turismo di un paese, da un’azienda locale o da un brand di fotocamere e videocamere per viaggiare e realizzare un prodotto. In Italia ne esistono diversi, ma il più famoso è senza dubbio Nicolò Balini, conosciuto dal popolo del web con l’alias “HumanSafari”. Viaggiando e creando foto, video ed articoli, tutte le persone che lo seguono vedranno degli aspetti favolosi ed attuali di un determinato luogo, che potrebbero spingerle a prenotare un viaggio, proprio lì. È un po’ come pagare una pubblicità prima di un programma in prima serata, con il vantaggio però che le persone che visualizzeranno il contenuto “sponsorizzato” sono esclusivamente interessate a quella determinata categoria, nel nostro caso, i viaggi.

 

Pianificare non è mai stato così semplice

Negli ultimi anni, su Internet, sono spuntati quasi come funghi dei siti web, detti comparatori. Il loro lavoro, per niente semplice, consiste nel cercare e comparare prezzi di hotel, voli, macchine e tour in maniera simultanea. Non serve più, dunque, andare in agenzia. Basta semplicemente indicare la meta ed il numero di giorni ed il comparatore ci mostrerà tutti i pacchetti viaggio, già creati appositamente per noi. Un’altra rivoluzione nei settori del viaggio è proprio la nuova forma di turismo che è letteralmente esplosa, specialmente tra i giovanissimi. Stiamo parlando di portali come Airbnb, che consentono l’affitto di una casa in un posto a scelta della nostra destinazione. Oltre ad essere più economica, la soluzione “casa” è senza dubbio la preferita dai più giovani. Questa, infatti, oltre ad annullare quelle che sono le regole, per lo più orarie, degli alberghi, ci consente di fare due cose fondamentali. La prima, per importanza, è quella di avere un contatto in-loco. Per chi ha già usato AirBnb, questa figura è l’host, ovvero colui che ci affitterà la sua casa. È una persona del luogo, spesso molto amichevole, che ci aiuterà nella scelta delle attività, ci darà consigli per muoverci agevolmente e molto altro. Il secondo aspetto, è quello che potremo dimostrare a noi stessi ed agli altri la nostra autosufficienza, traguardo fondamentale per ognuno di noi.

 

Viaggiare aumenta l’autostima

Viaggiare è bello in compagnia, ma secondo uno studio della Queensland University of Technology farlo da soli è anche una cura.

Come sostiene la prof.ssa Constanza Bianchi dell’omonima università, “viaggiare da soli aiuta le persone ad aumentare la sensazione di avere maggiore controllo sulla propria vita e sulle proprie azioni. Non solo. Viaggiare da soli stimola anche la riflessione e aiuta nella scoperta di sé”. Lo studio ha confermato i vantaggi, anche psicologici, di questo tipo di vacanza. “È il modo migliore per lavorare su se stessi”, continua la professoressa Bianchi. La ricerca, che è stata pubblicata dalla rivista “International Journal of Travel and Tourism Research”, è stata condotta su un campione di 24 partecipanti tornati da una vacanza organizzata e vissuta in completa solitudine.

Al loro ritorno, oltre a ritenersi soddisfatti, hanno osservato come, seguire i propri ritmi senza doversi adattare a quelli di qualcun altro, riscoprire una nuova sensazione di libertà, godersi il pieno relax senza l’ansia di dover pianificare uno spostamento di gruppo, sia stato anche più rilassante e gratificante. Raggiungere i propri obiettivi di ogni giorno, da soli, è una piccola conquista, un passo in più verso la capacità di credere in noi stessi.