Isis e fortuna
A tu per tu con Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale e professore di Sociologia del terrorismo alla LUISS
Monica Bruni | 5 settembre 2017

 

L’Isis è una realtà terroristica diventata concreta minaccia per l’Occidente. Quali sono le reali motivazioni del fenomeno?

L’Isis è un fenomeno articolato perché ha caratteristiche diverse in Europa oppure in Siria o in Iraq. Diciamo che in Europa le motivazioni principali sono legate al fatto che purtroppo esistono degli immigrati di seconda generazione, in alcuni casi anche di terza generazione, che hanno un problema di integrazione nelle nostre società. Studiando, infatti, tutti gli attentati che hanno colpito tutte le città occidentali quello che troviamo è che si tratta di attentati organizzati da immigrati di seconda o terza generazione, in alcuni casi anche di prima. Ad esempio Anis Amri, che ha realizzato la strage contro il mercato natalizio di Berlino del 19 dicembre 2016, si era trasferito in Italia dalla Tunisia, era arrivato a Lampedusa nel febbraio 2011. 

Le motivazioni in Siria e in Iraq,invece, sono più complesse perché sono legate a dinamiche articolate che hanno a che vedere con la politica internazionale, la storia di quei Paesi, perciò non è possibile dare una risposta unica a questa domanda. 

 

Nel suo recente libro L’Isis. I terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli afferma che l’Isis è l’organizzazione terroristica più fortunata al mondo. Perché?

Ho studiato tutte le principali conquiste dell’Isis in Siria e in Iraq, in Libia le ho poste a confronto e quello che ho trovato è che sotto al profilo militare l’Isis è un fenomeno pressoché irrilevante. Ho definito l’Isis “il nulla che avanza nel niente”, nel senso che tutte le volte che l’Isis ha conquistato una città importante, che si tratti di Palmira, di Ramadi, Sinja o che si tratti di Sirte in Libia la conquista perché non ha trovato un’opposizione davanti a sé e questo è accaduto perché sia in Libia, ma chiaramente anche in Siria e in Iraq, l’Isis si è sviluppato all’interno di un processo di disfacimento dello Stato perciò non è stato contrastato in modo efficace. Sono fortunati perché i due Paesi che avrebbero dovuto coalizzarsi per combattere contro l’Isis, la Russia e gli Stati Uniti, si sono combattuti e si combattono fra di loro per il predominio in Siria. Sono fortunati perché la Russia e gli Stati Uniti litigano fra di loro anziché unirsi per combattere contro l’Isis. Se lo facessero o l’avessero fatto l’Isis sarebbe stato ridotto ad un cumulo di macerie già da un bel po’ di tempo appunto proprio perché sotto il profilo militare è un fenomeno irrilevante rispetto agli Stati Uniti o alla Russia.

 

Quanto è alto secondo lei il rischio di attentati nel nostro Paese soprattutto anche alla luce del fenomeno migratorio che vede l’Italia in prima fila nel soccorso nel Mediterraneo?

I rischi ci sono ma sono senz’altro inferiori rispetto a quelli di altri Paesi, sicuramente rispetto alla Francia. Il fatto che la Francia sia così interessata da attività jihadiste non deve indurci a pensare che anche l’Italia sia nella stessa condizione drammatica, non lo è affatto e questo è dimostrato dalle statistiche.

 

Quale può essere una concreta strategia per aggirare l’ondata di attentati terroristici in Europa?

Le strategie sono varie: serve una strategia basata sulla prevenzione, una strategia basata sulla repressione. Non esiste una strategia unica ma diverse che devono combinarsi tra di loro per dare il risultato migliore. Chiaramente anche un maggior investimento a favore dei servizi segreti perché per quello che noi sappiamo i terroristi vanno fermati prima che possano entrare in azione.