La crisi che viene dall'Oriente
La bolla e il dragone
Una “favola” d’oggi, quella del crollo delle borse cinesi, che ha tenuto con il fiato sospeso investitori di tutto il mondo. Ma cosa è successo esattamente?
Alberto Buttini | 29 ottobre 2015

Il protagonista di questa storia non è un semplice dragone: è il Dragone, la Cina, che racchiude nel suo ventre 1 miliardo e 300 milioni di persone. Come ogni favola che si rispetti, la storia (recente) del nostro Dragone inizia bene. L’economia cinese, infatti, per una trentina d’anni è cresciuta ogni  anno di circa il 10%: con l’avvento della crisi economica mondiale il ritmo è un po’ rallentato, fino al 7,3% del 2014. Numeri enormi quelli della seconda  economia del mondo, se confrontati con i ritmi di crescita attuali dei Paesi europei. La Borsa di Shangai nell’ultimo anno e mezzo ha guadagnato il 150%: è come se partendo da una torta alla fine si avessero due torte e mezza.

Ma ecco che nella nostra storia arrivano le complicazioni nell’estate del 2015. La Borsa (anzi, le Borse, perché la  Cina ne ha due, Shangai e  Shenzen), infatti, che non poteva crescere all’infinito, crolla perché i tassi di nteresse si facevano sempre più ridotti e gli investitori iniziavano a  comprare meno azioni. Ma cosa sono i tassi d’interesse? Non è difficile: provate a immaginare di avere mille euro e voler comprare un regalo alla vostra   ragazza, ma non sono sufficienti. Avete un amico che lavora in un’azienda florida: gli consegnate i vostri soldi, che vi verranno restituiti  dopo  un  po’ di tempo con qualcosa in più: un premio in denaro, con cui l’azienda vi ha incentivato  a prestarle i soldi. Quel premio si chiama ‘interesse’.   Ebbene, in Cina quei premi hanno cominciato a non essere più così appetibili e così la Borsa ha iniziato a rallentare la propria crescita. Gli investitori,  che avevano guadagnato molto nei mesi precedenti, non volevano più acquistare azioni, perché avevano più svantaggi e anzi, non sapendo per  quanto  sarebbe proseguita la decrescita, hanno iniziato a vendere  le azioni a prezzi sempre più vantaggiosi.Nell'ultimo anno e mezzo non era praticamente mai successo. Così la Borsa perdeva e perdeva (più del 30% da giugno con picchi di giornata superiori al -10%). Ma non è tutta colpa degli investitori: il calo dell'8,3% della produzione industriale a giugno ha creato molta confusione e addirittura panico nei mercati finanziari.  

Il Dragone entra in crisi e a dargli il colpo di grazia è il secondo personaggio della storia: la bolla (finanziaria), il fenomeno per cui i prezzi delle azioni si alzano di molto senza un apparente motivo. La bolla in questione è stata favorita dallo stesso Stato cinese guidato da Xi Jinpling, che negli ultimi anni ha convinto (tramite politiche economiche) i cittadini e le aziende a investire in borsa. Ora questi hanno perso moltissimo, se non tutti i loro risparmi: parliamo di milioni di persone. Per ridurre le perdite e assecondare gli investitori, il Governo ha immesso denaro nel sistema e di fatto ha obbligato le banche a concedere prestiti con la liquidità ricevuta. Questa operazione economica di immissione di liquidità è detta "quantitative easing" ed è applicata dagli USA dal 2009 e dalla Banca Centrale Europea dal 2015. È evidente che con questa crisi la crescita cinese sia rallentata- le stime attuali sono intorno al cinque per cento annuo. A detta di molti esperti, per questa ragione il 12, 13, 14 agosto il Governo ha svalutato la moneta cinese del 5 per cento circa, al fine di rilasciare le esportazioni.In questo modo il Governo cinese controlla il valore della sua moneta: è una cosa anomala, perché il valore della moneta, di solito, dipende dai mercati finanziari, anche se può essere in parte controllato dalla banca centrale che le emette. Ma d'altra parte, la Cina è una dittatura. A causa della crisi cinese le economie di molte nazioni emergenti che basano la loro ricchezza sulle esportazioni in Cina (Cile, Turchia, Sudafrica ecc.) potrebbero avere non poche ripercussioni. Non possiamo sapere ancora come finirà questa storia, anche se il lieto fine appare più lontano che mai.