Dalla parte dei bambini
Nati liberi
Sono centomila i minori che ogni anno in Italia frequentano le carceri per andare a trovare i genitori detenuti. Solo una struttura su tre ha degli spazi adeguati: ora un protocollo d’intesa prova a cambiare la situazione
Chiara Falcone | 23 giugno 2014
Cinque mamme e cinque bambini piccoli. Tutti insieme in una cella. Dieci persone in pochi metri quadri. Succedeva a San Vittore, il carcere di Milano, qualche anno fa. A raccontarcelo è Greta, una ragazza poco più che ventenne, i cui genitori sono stati più volte in carcere mentre lei fuori andava a scuola, usciva con gli amici, aveva la sua prima storia d’amore, rimaneva incinta. Greta ha un fratello più piccolo, che fino ai tre anni di vita ha vissuto con la mamma dentro quella cella: «Quando mio fratello era dentro, la mamma gli faceva vivere la cosa come un gioco; era anche diventato la mascotte degli agenti. Lo spazio era davvero ridotto e la condizione invivibile. Quando è uscito, a tre anni, era frastornato perché quella era la sua casa. Per fortuna non si ricorda molto di quel periodo: era piccolo». Dal 2006 alle mamme con i bambini è destinata una struttura a parte di San Vittore, l’Istituto a custodia attenuata, dove le condizioni sono per fortuna differenti.
Molto è cambiato rispetto a quando Greta era piccola, e gran parte dei risultati si deve a una donna e alla
sua associazione. Racconta Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre: «L’associazione nasce alla fine
degli anni ‘90 dopo un incontro importante con una onlus francese che si occupava proprio di tutela della
famiglia in carcere. Loro avevano deciso di mettersi in rete: io ho visto il loro lavoro, i loro risultati, e ho pensato che si poteva fare anche qui da noi». Bambinisenzasbarre tutela i figli di detenuti, bambini e adolescenti, accompagnandoli nel difficile rapporto con i genitori dentro e fuori il carcere, organizza corsi di formazione agli operatori penitenziari e affianca anche i genitori nel loro difficile ruolo durante la detenzione.
Ma qual è la realtà italiana? Secondo la legge, i bambini fino a tre anni possono vivere con la madre in carcere; poi vengono affidati a parenti, ad una comunità o ad una famiglia affidataria finché la madre non
finisce di scontare la pena. Finché la madre o il padre sono detenuti, i figli hanno 6-8 ore al mese per vederli(8 fino ai 10 anni di età). «Il mio primo ricordo del carcere è la sala colloqui – racconta Greta – dove entravi dopo aver aspettato anche ore per fare il permesso e la perquisizione. C’era un sacco di gente che urlava, molti bambini e nemmeno un gioco. Poi c’era il tavolone di marmo che ci divideva: se provavo ad
avere un contatto fisico con mia mamma ci dividevano subito, perché avevano paura che ci passassimo qualcosa».
Proprio per evitare ai figli di detenuti questo calvario, Bambinisenzasbarre ha creato lo Spazio giallo: uno
spazio di accoglienza per i bambini che attendono di fare i colloqui, dove si può giocare, leggere e ci sono educatrici che li intrattengono. Il primo Spazio Giallo è stato istituito proprio a San Vittore, dove Greta andava a trovare sua madre. Ora è presente nelle carceri di Bollate, di Opera, di Bergamo, di Lecco e di Varese.
Spiega Lia Sacerdote: «Lo Spazio Giallo non è solo un intervento strutturale, cioè la creazione di un’area dedicata ai bambini, ma un vero e proprio approccio diverso alla presenza dei bambini in carcere. Si pensa
anche al percorso che fa il minore dal momento in cui varca la soglia del carcere fino a quando non ne esce.
Si tratta quindi anche di sensibilizzare gli operatori: fino all’istituzione dello Spazio Giallo, i bambini erano invisibili».
Nel 2011, l’associazione ha condotto (insieme all’istituto Danese per i Diritti Umani, la rete Eurochips, l’Università Statale Bicocca di Milano, il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria e il PRAP Lombardia)la prima ricerca sui figli di detenuti in carcere e i risultati fanno pensare: solo il 35% degli istituti dispone di locali adibiti esclusivamente agli incontri con i bambini e solo il 3% del personale adibito alla sicurezza
ha dichiarato che i minori sono scontenti ai colloqui. Questo significa che spesso il disagio dei
bambini è trasparente agli occhi degli adulti. E c’è di più: a dicembre 2009 il Dipartimento di amministrazione
penitenziaria inviò una circolare – l’unica su questo tema – che tra le altre cose dava alcune indicazioni sul comportamento da tenere quando si accolgono i bambini in carcere: “Il personale va motivato ad operare
con la massima cortesia e professionalità nei confronti del pubblico. […] In particolare, rivolgendosi a minori in tenera età non sarà necessario qui ricordare a tutti gli operatori l’indispensabilità di ricorrere al sorriso”. Secondo la ricerca, questa circolare è conosciuta da un operatore su tre.
«Il tema della formazione è quindi indispensabile – continua la Presidente – i bambini non sembrano scontenti perché in effetti sono felici di vedere i genitori. Il problema è che incamerano un disagio che sfocia
successivamente e fuori dal carcere. I bimbi si vergognano della situazione e non ne parlano all’esterno». Spesso vengono addirittura emarginati,proprio come è accaduto a Greta, quando le sue amichette
e le loro mamme evitavano di parlarci perché sapevano che i suoi genitori erano a San Vittore. «Ero arrivata al punto di nascondere la verità: quando i miei venivano arrestati non lo dicevo nemmeno a scuola, le maestre lo scoprivano dopo ai colloqui», commenta Greta. Non bisogna sottovalutare, quindi, l’importanza di spiegare ai minori la verità: anche i genitori tendono a non raccontare le cose come stanno, ma in realtà si è dimostrato che quando il bambino riceve una spiegazione plausibile, anche la relazione con il genitore migliora. Greta ora ha una figlia di due anni e vive con lei e sua madre, che ha finito di scontare la pena e lavora. A sua figlia augura un futuro migliore del suo: «Non le farò mai passare quello che ho passato io, voglio che abbia un’infanzia felice e che possa studiare», conclude Greta.
E per non far vivere ai 100mila minori che entrano nelle carceri italiane lo stesso senso di disagio, tristezza
e infelicità, Bambinisenzasbarre, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e il ministero della
Giustizia hanno firmato la Carta dei figli dei genitori detenuti, primo caso in Italia e in Europa, che ha lo
scopo di preservare i diritti dei bambini. Commenta Lia Sacerdote: «Il carcere deve diventare un luogo educativo per gli adulti a tal punto che i bambini pensino che è un luogo in cui si può vivere: lo sguardo dei bambini trasforma il carcere». A cambiare, però, deve essere prima di tutto lo sguardo delle istituzioni: il protocollo d’intesa è un ottimo risultato, ma servono concretezza e impegno politico per far sì che lo Spazio Giallo sia un diritto di tutti e non un isolato esperimento di civiltà.