Togliatti e il giorno in cui il PCI fu grande
In occasione del settantesimo anniversario dell'attentato di Pallante al segretario del PCI
Roberto Bertoni | 13 luglio 2018

Quel giorno, era il 14 luglio 1948, l'Italia rischiò davvero di finire schiacciata sotto il peso delle sue contraddizioni e della sua democrazia fragile, immatura e, purtroppo, a sovranità limitata. Quel giorno solo la lungimiranza del PCI e della CGIL, guidata da Giuseppe Di Vittorio, riuscirono nell'impresa di scongiurare una guerra civile che avrebbe avuto conseguenze devastanti per un Paese uscito da poco dal secondo conflitto mondiale e ancora attraversato da innumerevoli lacerazioni. 

Erano le 11,30 di mattina quando un ragazzo dalle idee confuse, Antonio Pallante, che sarebbe inesatto anche definire un attivista di destra o di estrema destra, esplose quattro colpi contro Palmiro Togliatti, segretario del PCI, ferendolo gravemente con tre di essi. 

L'Italia venne squassata da Nord a Sud dalla rivolta dei militanti comunisti e delle forze di sinistra, fra la proclamazione dello sciopero generale proclamato all'istante dalla CGIL e il desiderio di molti di estrarre dai fienili, dalle cantine e dalle stesse sezioni, specie in Emilia, le armi che erano servite durante la Resistenza: un ideale sacro che consideravano, di fatto, tradito. 

Fortuna volle che il professor Valdoni, luminare della medicina, operandolo d'urgenza, riuscì a salvare la vita al segretario del PCI e che questi, mantenendo i nervi saldi, convinse la propria gente ad evitare gesti inconsulti, in un contesto che definire complessivamente devastante vorrebbe dire utilizzare un eufemismo. 

Quel lontano giorno di luglio i nervi saldi del Partito Comunista e l'intelligenza del presidente De Gasperi evitarono all'Italia di ripiombare in un incubo che aveva conosciuto molto bene, sscongiurando un inferno che avrebbe potuto persino condurre a un colpo di Stato di matrice reazionaria ossia al ritorno del mostro che era stato debellato appena tre anni prima. 

Erano trascorsi appena tre mesi dalla vittoria democristiana nelle prime Politiche della storia repubblicana dopo il Referendum del '46 e la contemporanea elezioni dell'Assemblea Costituente. Il PCI, almeno per quanto concerne i vertici, sapeva benissimo che non avrebbe mai potuto vincere, pessendo in vigore gli accordi di Jalta ed essendo il nostro Paese stato destinato all'area di influenza occidentale. Fatto sta che il timore comunista era soprattutto quello che il PCI venisse messo fuori legge, in base alle pressioni provenienti dalla CIA e dalle frange più retrive del Vaticano, allora retto da un papa non certo progressista come Pio XII

Settant'anni da quel drammatico 14 luglio e a noi torna in mente il significativo discorso che lo stesso Togliatti pronunciò il 30 settembre, in occasione del suo ritorno a Montecitorio: "Vorrei infatti che nessuno di noi perdesse coscienza di questo fatto: che il giorno che nel nostro popolo andasse perduta la capacità di sdegnarsi e di scendere in campo per respingere le offese fatte alla democrazia e ai suoi uomini, quel giorno la democrazia stessa sarebbe finita e questo Parlamento non saprebbe più su quali fondamenta basare la sua esistenza e le sue funzioni". In queste riflessioni è racchiuso il senso più alto e nobile della democrazia e delle istituzioni nonché il tormento di un uomo, prima ancora che di un politico, costretto a fare i conti con una realtà soverchiante cui, pur disprezzandola, non poteva più di tanto opporsi.