Perché siamo tutti responsabili
Il dramma afghano è anche dramma di respingimenti e flussi migratori criminali. Nicolosi ci spiega perché dobbiamo sentirci tutti colpevoli
Redazione | 13 ottobre 2021

Regista, fotoreporter e giornalista, Valerio Nicolosi racconta da anni la crisi mediorientale partendo dalle conseguenze umane e politiche di 20 anni di guerre. Le immagini drammatiche che in questi mesi ci arrivano dall’Afghanistan, non sono che una piccola parte del dramma che si sta consumando a due passi da noi. I suoi scatti sono una lama che risveglia le responsabilità di tutti noi, in quanto italiani e in quanto europei.

 

La rotta balcanica torna a essere protagonista dopo l’abbandono dell’Afghanistan da parte degli USA. Cosa succede nel confine europeo?

I confini della “Fortezza Europa” vengono percepiti come degli scudi da parte degli Stati membri dell’Unione Europea. L’invasione è in realtà un flusso migratorio creato da oltre 20 anni di guerre: anche sotto la bandiera della Nato le persone scappavano dai talebani che di fatto non sono mai stati sconfitti. Lungo queste frontiere ci sono dei muri (tra Grecia e Turchia; tra Slovenia e Croazia; tra Ungheria e Serbia, quindi anche all’interno della stessa “Fortezza Europa”), ma quello che è stato innalzato è soprattutto un muro di violenze e torture da parte della polizia croata e greca, anche nei confronti delle donne. I rifugiati vengono respinti illegalmente in Bosnia, fuori dall’Ue, contro ogni diritto.

 

Come rappresenti con la tua fotografia le conseguenze politiche di tutto ciò?

Cerco di farlo soprattutto dal punto di vista umano. Spesso parliamo di geopolitica ma dimentichiamo l’umanità delle persone, soprattutto se vivono lontano da noi. Cerco di guardare le persone costrette a lasciare la propria casa e per farlo sfrutto la scrittura, il video, la fotografia, il podcast. Ogni strumento arriva a un tot di persone e per questo cerco di utilizzare più media. Spesso ci indigniamo della condizione della popolazione afghana a Kabul o Herat ma non pensiamo che ci sono persone a 3 ore di macchina da Trieste che vengono torturate.

 

Ti sei mai sentito complice e colpevole?

Sì, lo siamo come europei e come italiani. L’esercito italiano ha tirato fuori un vecchio accordo del ’96 con la Slovenia (ormai decaduto) per intercettare le persone sul confine e lavarsi le mani portando le persone fuori dall’Italia. Oggi ci indigniamo dell’Afghanistan, ma non dimentichiamoci che nel 2016, l’Unione Europea ha stipulato un accordo criminale con la Turchia: la paghiamo per tenersi i rifugiati e in fondo facciamo la stessa cosa con la Libia dal 2017, elogiando i loro “salvataggi in mare” che definirei più “respingimenti criminali”. Abbiamo tutti una responsabilità forte: tra 15/20 anni la storia ci chiederà perché abbiamo permesso questo e perché non abbiamo fatto nulla pur essendo tutti a conoscenza di questa situazione.

 

Come scegli le tue immagini? Usi dei filtri o pensi che debbano essere pubblicate anche quelle più forti in nome dell’informazione?

Io ho un solo criterio per selezionare quello che fotografo: quello della dignità. Se sto ledendo la dignità delle persone che ho davanti, non scatto la foto. Anche per quanto riguarda la policy di censura delle immagini da parte dei social, penso debba valere il principio della dignità, ma se ci sono foto violente che fanno parte di un percorso storico (come la morte di Gheddafy o di Mussolini) penso sia giusto pubblicarle. In quel caso non sto ledendo la dignità di una persona ma sto raccontando un fatto storico. Per quanto riguarda i migranti, sto attento a non metterli in pericolo oppure cerco di raccontarli sempre con estrema dignità.