La "dittatura" del politically correct
Fino a che punto il politically correct ci priva del diritto di parola?
Elena Ducato | 6 maggio 2021

In un mondo sempre più digitalizzato, le possibilità di comunicazione e di esprimere la propria opinione dovrebbero essere sempre maggiori, eppure l’abuso del cosiddetto politically correct ci rende schiavi e ci priva dell’importantissimo diritto di parola. 

Diritto di parola

Nella realtà del 2021, dominata dai social, esprimere il proprio parere dovrebbe essere facile e immediato, tuttavia il blocco imposto dall’abuso del politically correct ci vieta di farlo. Esprimere opinioni diverse, ideologie diverse, non arreca offesa di per se. È piuttosto base per il dialogo, per lo scambio fra culture e per la crescita di ogni individuo. Di certo va condannata l’ideologia dell’arroganza e del disprezzo e la parola che si trasforma in propaganda, come la parola “migrante”, sostituita da “persona con una storia internazionale” o “migrante per lavoro”. Spesso i social ci spingono e ci abituano ad esprimerci per slogan, con frasi brevi e ad effetto, che diventano casse di risonanza per pensieri superficiali nelle mani di chiunque. Il politically correct nasce dunque per arginare gli eccessi ed educare la parola ma finisce esso stesso per cedere all’eccesso riducendosi, ad un mezzo di controllo che limita il diritto di parola. Come attesta l’Enciclopedia Treccani: «L’espressione angloamericana politically correct designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone.», dunque se usato propriamente il suo scopo è nobile, in quanto cerca di portare avanti un principio di rispetto e di tolleranza nei confronti del prossimo.

Rispetto e tolleranza

Il principio di rispetto gode certamente di una base di reciprocità che spesso, paradossalmente, il politically correct finisce per rinnegare. È forse giunto il momento di farci delle domande.

  • Quando per non offendere gli indigeni americani, in alcuni luoghi dell’America, si decide di abbattere le statue che celebrano Cristoforo Colombo, chiediamoci: dov’è finito il rispetto per la storia?
  • Quando vecchi film come “Via col vento” o addirittura film Disney vengono rimossi dalle piattaforme streaming, perchè considerati sessisti o razzisti, chiediamoci: dov’è finito il rispetto per un passato cinematografico che semplicemente era specchio di momenti della storia?
  • Quando per non offendere questo o quel genere sessuale ci si riferisce a Socrate con il pronome “she”, dov'è finito il rispetto per la cultura e la storia del pensiero? 
  • Quando in Italia si coprono le statue nude dei Musei Capitolini per non offendere la fede del presidente iraniano, dov’è finito il rispetto per l'arte?  

Tanti, purtroppo, sono gli esempi che hanno scandito i nostri tempi! La reciprocità del rispetto è garantita soltanto dalla tolleranza. Se questa non viene esercitata si rischia di scivolare nella censura indiscriminata che viola ogni principio di libertà e dunque annulla il politically correct. Nessun paese può dirsi davvero libero se cerca di imbrigliare il pensiero e la parola. Il politically correct dovrebbe essere regolato semplicemente dal principio di tolleranza per ogni tipo di differenza, per la storia, per la cultura, per le scelte di uomini come di Stati. Non può essere ridotto a un semplice esercizio di forma che tradisce il suo senso più profondo, diventando buonismo ipocrita e oggetto di strumentalizzazione. Bisognerebbe educarsi al confronto delle idee.