Studi umanistici, uscire dall'Italia potrebbe essere inevitabile
Intervista a Lea Niccolai, ricercatrice a Cambridge, sulle diverse prospettive lavorative dei laureati in materie umanistiche tra Italia e Inghilterra
Camilla Di Gennaro | 6 ottobre 2020

Nel 2015 Stefano Feltri scrisse un articolo su Il Fatto Quotidiano invitando le future matricole ad evitare di scegliere le facoltà umanistiche a causa delle scarse possibilità lavorative. La "lotta" tra scienze e lettere è sempre aperta: ci sono i pragmatici che scelgono le materie scientifiche e i romantici che prediligono quelle umanistiche. Lea Niccolai, laureata in Lettere Classiche e Orientalistica all'università degli Studi di Pisa, è stata allieva della Scuola Normale Superiore ed è ora ricercatrice in Classics / Oriental Studies all'università di Cambridge e la sua tesi di dottorato è stata premiata con l'Hare Prize. È una storica antica che oltre a conoscere il greco e il latino utilizza l'aramaico e il siriaco per lo studio dei testi. Abbiamo parlato con lei riguardo le diverse prospettive lavorative per i laureati in materie umanistiche tra l'Italia e l'Inghilterra.

Lea, sei dovuta andare via dall'Italia oppure è stata una tua scelta?

È stato il risultato di una esplorazione, non avevo preso in considerazione di andare all'estero quando ho iniziato a studiare. La Normale offre l’opportunità di alcuni scambi con altre università, questo mi ha permesso di andare già in triennale all’università di Tubinga, in Germania, e da lì ho capito che per me era un forte stimolo intellettuale quello di spostarmi e osservare come si lavora in altri ambienti universitari e come cambia il modo di riflettere sui testi. Successivamente sono venuta qui a Cambridge per un altro programma Erasmus, mi sono innamorata dell''ambiente, per cui ho pianificato un dottorato qui grazie al supporto di una borsa di studio messa a disposizione da una fondazione britannica. Avevo fatto diverse domande anche presso altre università, ma Cambridge restava la mia favorita. La mia è stata una scelta personale, ma se avessi deciso di rimanere a svolgere un dottorato in Italia quasi certamente avrei incontrato una strada in salita perché in questo momento le opportunità di ricerca nel nostro paese sono più limitate e le borse di studio pochissime.

Perchè in Italia le facoltà umanistiche sono snobbate?

In Italia abbiamo ancora la grande fortuna di avere una scuola statale che permette a tutti di accedere allo studio delle materie umanistiche. In Inghilterra, invece, chi vuole studiare latino, greco, ma anche filosofia, spesso deve andare in scuole private, il che fa sì che questi ambiti disciplinari diventino appannaggio di chi proviene da famiglie agiate. Temo però che attualmente in Italia si stia stabilizzando un predominio delle competenze sui saperi culturali. E’ sintomatico perché riflette una logica sempre più imperniata sull’utile: sembra che se una materia non ha una spendibilità pratica immediata non appare utile e dunque diventa di serie B. Non credo che ci siano materie di serie A o di serie B, credo nelle sinergie.

In che modo i Paesi anglosassoni apprezzano gli studi umanistici? 

Quello che vedo qui a Cambridge è che molti giovani si iscrivono alle facoltà umanistiche anche perché nella società anglosassone è possibile un passaggio abbastanza rapido verso impieghi in altri ambiti tipo quelli giuridici, economici, ma anche politici, amministrativi e della comunicazione. A questi laureati vengono riconosciute delle qualità e dei valori formativi che derivano proprio dagli studi umanistici. Molti studenti si iscrivono al corso di laurea triennale con la prospettiva di studiare per un lasso di tempo determinato materie classiche per poi rivolgere i saperi acquisiti ad altri ambienti professionali. “Classics” è un settore universitario interdisciplinare e articolato tra ambiti storici, filosofici, linguistici e archeologici.

Consiglieresti comunque ad un ragazzo di scegliere una facoltà umanistica? 

Lo consiglierei se c’è una vocazione autentica per lo studio e la cura di queste materie. Va messo in conto però che si possa prospettare la necessità di dover lasciare l’Italia per poter trovare opportunità professionali. La preparazione nel nostro paese resta comunque di altissimo livello e sono personalmente molto grata alla formazione accademica ricevuta che all’estero è stata apprezzata non sono in Inghilterra ma anche in Germania (Tubinga) e negli Stati Uniti (Yale, Princeton).

Quanto è importante la conservazione di questi saperi?

Molto. Non di rado possiamo scorgere nel presente tracce di un passato che, pur lontanissimo, ancora segna profondamente concezioni estetiche, etiche e filosofiche. Ad esempio la mia tesi di dottorato è incentrata su come il potere raccontava se stesso nel corso della transizione tra l’impero romano e il medioevo per difendersi e potersi legittimare: è stupefacente vedere come, a distanza di secoli, alcune dinamiche – si veda per esempio l’utilizzo strumentale della religione – persistano ancora.