«La missione che ha dato senso alla mia vita»
Boat people e la storia del marinaio Favia
Arianna Baldi | 14 novembre 2019

«È un dovere salvare le persone dal mare, dare loro la dignità dell’esistenza». Sono parole forti e piene di umanità quelle di Saverio Favia, il marinaio che quarant’anni fa all’età di vent’anni era in funzione sulla nave Vittorio Veneto per una delle spedizioni più importanti della sua vita e forse tra le più coraggiose in Italia: l’operazione di salvataggio che la Marina Militare italiana fece nelle acque del Vietnam. Era il 1979 e i salvati dalle acque e dal terrore di quelle terre erano i naufraghi in fuga da un paese in guerra, un paese che non li voleva più.

«Siamo partiti il 5 luglio ed era il giorno del mio compleanno», è commosso Saverio ricordando come iniziò tutto. Racconta che si trovavano in servizio a Tolone, in Francia, quando ricevette il messaggio cifrato indirizzato al comandante: in quanto addetto alle telecomunicazioni era il primo a ricevere le notizie. Spettava a lui, secondo la priorità, smistarle e indirizzarle ai vari reparti. Ma non tutte potevano essere decifrate, come in questo caso: «era un messaggio flash per il comandante, dovevamo tornare subito a Taranto, non dicevano per che cosa». Non sapeva quindi che da lì a quel 20 agosto, in quaranta giorni, avrebbero compiuto un’impresa unica nel suo genere. Ma ricorda benissimo la velocità con cui rientrarono a Brindisi e i lavori per adattare le tre imbarcazioni dell’VIII Gruppo navale alla missione per recuperare gli “ospiti”, come chiama le 90 persone che furono salvate. «Quando ci avvisarono, si chiesero chi avrebbe voluto restare sulla nave per salpare da lì a qualche ora. Accettai immediatamente. Io come tanti altri».

La prima parte della traversata alla volta dell’Oceano Indiano e il passaggio per il Canale di Suez furono un viaggio tranquillo, dalle parole di Saverio che era per la prima volta in acque lontane. La paura c’era, la Guerra Fredda al suo apice, ma anche la speranza. Superata Singapore incontrarono i primi profughi che fuggivano a bordo di imbarcazioni malmesse. Benché fosse chiuso nella cabina radio, ricorda quello che vide dallo sportellone: «Barche piene come un formicaio». Forti le immagini delle persone che fuggivano con ciò che avevano, ma anche ricordi felici, come il ballo tipico che grandi e bambini fecero in loro onore al ritorno.

Sono momenti che rimangono impressi ancora a distanza di quarant’anni e ritraggono una storia di solidarietà professionale estranea all’Italia di oggi e anche poco conosciuta: «Non ho sentito nessun media parlarne il 20 agosto, eppure è importante ricordare come un tempo salvavamo le persone».

Saverio Favia e gli altri marinai ricevettero la medaglia di bronzo all’onore. Il suo pensiero oggi va alla consapevolezza che quel gesto portava con sé: «Sono soddisfatto nella vita. Lo rifarei e rifarei ancora».